La sentenza pubblicata ieri dalla Quarta Sezione del Consiglio di Stato inchioda alle sue responsabilità il ministero della Difesa per l’ennesimo caso di negligenza nella tutela del proprio personale inviato in missione all’estero ed esposto al contatto prolungato con l’uranio impoverito seminato dalla Nato.

In questo caso la vittima è un caporal maggiore dell’Esercito che aveva prestato servizio nella missione “Althea” in ex-Jugoslavia nel 2007.

Assistito dall’avvocato Angelo Tartaglia, il caporal maggiore aveva vinto una causa risarcitoria presso il Tar della Toscana ma proprio contro questo provvedimento lo stesso ministero della Difesa (retto allora da Elisabetta Trenta) ricorreva presso il Consiglio di Stato.

Ed ecco arrivare la sentenza di ieri che conferma il provvedimento del Tar toscano e fa a pezzi l’inconsistente ricorso del ministero.

Tra le motivazioni si ricorda alI’Amministrazione della difesa che «…Allorché su disposizione dei competenti Organi della Repubblica invia uomini in missione all’estero, I’Amministrazione della difesa è tenuta ad informarsi preventivamente della concreta situazione (…) e a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi (…) Altrimenti detto, nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”) l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile…».

La sentenza prosegue impietosa sottolineando come l’Amministrazione fosse al corrente sia della presenza di uranio impoverito, sia delle possibili conseguenze sulla salute legate ad una esposizione ad esso sia infine delle misure di protezione altrimenti adottate dalle altre forze Nato presenti in teatro. «…Il ricorso a tali dispositivi di protezione e procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti…».

Il Consiglio di Stato non concede al ministero nemmeno l’eventuale attenuante «di avere specificamente rappresentato al decisore politico i rischi di una missione non puntualmente preparata» ricevendo per contro l’ordine «di inviare senza alcun indugio gli uomini» perché tale scenario non si è verificato.

Con questa sentenza, sulla vicenda uranio impoverito, il ministero della Difesa perde anche nelle aule del massimo organo della giustizia Amministrativa.

Non ci sono più appelli da fare se non al governo ed al parlamento: è ancora arenata nelle commissioni Lavoro e Affari Sociali la proposta di legge che dovrebbe tutelare il personale da queste ed altre negligenze; continua il pervicace silenzio del ministero della Difesa su tutta la vicenda e persino sulle false dichiarazioni rilasciate dall’ammiraglio Cavo Dragone alla IV Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio impoverito così come continua imperterrita, nonostante la pesantissima crisi socio-sanitaria in corso, l’attitudine a coinvolgere il Paese in “missioni di pace” (il virgolettato è del Consiglio di Stato) che o sono telefonate da Washington o comunque hanno ben poco a che fare con la “difesa della patria”.