Talento refrattario alle categorizzazioni, Pascale Ferran si è presentata sulla Croisette con Bird People, un oggetto filmico inclassificabile e imperfetto che nonostante tutto convince per l’audacia e il rifiuto di scendere a patti con la normatività narrativa dominante. Sono vite parallele in transito, quelle che racconta la Ferran. Corpi di passaggio nell’aeroporto Charles De Gaulle, che si fermano negli hotel sparsi intorno alle piste degli aerei. Una zona temporaneamente occupata ambient che potrebbe essere stata immaginata da Brian Eno.

Gary Newman (voluto il riferimento alla post-umana star del pop britannico 70/80 Numan?), interpretato da Josh Charles (era Knox Overstreet ne L’attimo fuggente di Peter Weir), è un consulente informatico che si sposta in giro per il mondo partecipando a riunioni di lavori e squattando hotel di lusso con la carta di credito della sua compagnia. Audrey, la rivelazione Anais Demoustier, lavora come addetta alle pulizie nell’albergo dove si ferma Gary. Lui, dopo una riunione di lavoro particolarmente tesa, matura una decisione radicale. Abbandonare tutto e ricominciare daccapo. Lei, una notte, si trasforma in un passero. O forse no.

Grazie a un controllo preciso ma mai autoritario o deterministico di una materia narrativa complessa, Ferran ci conduce con attenzione entomologica nelle dinamiche di un desiderio di fuga, mettendolo in scena nel perimetro ristretto di un’anonima stanza d’albergo. Serratissimo nella parte dedicata a Gary, nella quale il lungo conflitto con la moglie, combattuto nel corso di una estenuante telefonata video si configura come un autentico tour de force, mentre un libro di J.G. Ballard fa capolino dal comodino vicino al letto, il film mette in scena, senza inutili didascalismi, l’ossessione normativa della vita occidentale, adottando un strategia strettamente osservazionale. Gary, evidentemente, è lost in translation. Proprio come Audrey che la mattina emerge dai rumori della metro come corpo e voce. Ed è proprio il sound design uno degli elementi maggiormente interessanti e convincenti di Bird People. Nonostante la messa in scena oggettivante e frontale, è la materia sonora del film, cui bisogna aggiungere la voce off di Mathieu Amalric, efficacissimo narratore, a mettere in scena da un’altra prospettiva la passione di vite che s’incrociano in non spazi in un tempo cristallizzato.

http://youtu.be/1acDvtfCrQQ

Con un autentico colpo d’ala, è il caso di dirlo, Ferran imprime alla seconda parte del film una svolta fantastica inattesa ma non controllata come la prima parte della pellicola.Audrey si trasforma in passerotto e, sulle note di Space Oddity di David Bowie, scopre l’ebbrezza del volo notturno, un vero e proprio «volo a planare», come canterebbe Loredana Berté.

Purtroppo dopo la sorpresa e l’incanto, non si può fare a meno di notare come le avventure di Audrey passerotto perdano progressivamente mordente anche l’incontro notturno con l’acquerellista giapponese resta un piccolo miracolo di grazia naif.

Eppure, nonostante questo mancato controllo della materia narrativo, Bird People si offre come un film incantato e sospeso. Un oggetto imprendibile e sensuale nella sua fragilità aerea. La regista corre dei rischi, scommette e anche se non sempre riesce ad alternare e a gestire sino in fondo il passo multiplo del suo film, Bird People è un’opera che convince a causa di una generosità inventiva spericolata che diventa sempre più materia rara.

Così, quando Gary e Audrey si ritrovano all’alba dopo una notte lunghissima, l’agnizione diventa non una banale chiusa narrativa ma l’atto di solidarietà necessario che la cineasta dona ai suoi protagonisti come attestato di una nuova esistenza volando dall’altra parte della vita. Film ambizioso, certo, e testardo nel voler perseguire le articolazioni di un racconto aperto, Bird People conferma in Pascale Ferran una cineasta ancora ampiamente non conciliata. Cosa questa che ci sembra in ogni caso un valore da tutelare.