L’assenza fisica come presenza totalizzante nell’immaginario è una costante nel mondo dello spettacolo. David Bowie – che ha interrotto lo scorso anno dieci anni di latitanza discografica con l’album The Next Day – ne è esempio calzante. Da due lustri lontano dalla scena live – scelta solo in parte dettata da problemi di salute – non è mai stato più presente nella memoria collettiva come negli ultimi anni. Perché se è pur vero che l’ex icona glam e ex di mille altre vite ancora ha preferito dedicarsi ai giochi della finanza con qualche sporadica apparizione al cinema (un cameo per The Prestige di Nolan nel 2006), fuori il mondo del pop (e del rock) non lo ha dimenticato. Anzi attraverso epigoni e cloni vari ha continuato a ripassare avidamente la sua lezione musicale e modaiola.

Un’icona che resiste inossidabile agli acciacchi dell’età, anche quando in tempi recenti lo abbiamo visto attraversare le strade della grande mela con un cappellaccio calcato sul capo a nascondere un biancore invero malaticcio. La promozione per la rentreé di The Next Day è stata impareggiabile, un annuncio scarno sul sito e poi l’ascolto del brano dalla Bbc, confidando sull’effetto moltiplicatore dei social network. Come si è puntualmente verificato.

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Ma il 2013 è stato anche l’anno della grande mostra su di lui inaugurata nelle sale del Victoria and Albert Museum di Londra e poi in tour a Berlino e ora a Chicago. Una esposizione in cui vengono attraversate tutte le trasformazioni e i personaggi del Duca bianco, completa di costumi e centinaia di immagini che lo riprendono in ogni sfumatura. Dischi compresi, dal Major Tom di Space oddity a Ziggy Stardust fino al recente ritorno. Mostra che è ora diventata un film David Bowie is, viaggio lungo i suoi 50 anni di carriera diretto da Hamish Hamilton, e che vedremo il 25 e 26 novembre nei cinema italiani.

E mentre lo stesso Bowie ha confermato di stare lavorando a nuovo materiale, puntuale a ridosso delle festività natalizie la Parlophone annuncia quella che viene definita la «raccolta definitiva» , il «meglio del meglio» di Bowie, dal titolo Nothing has changed, in uscita nei negozi e nei digital store a partire dal 18 novembre, proposta in tutti formati, 3 cd deluxe, 2 cd «essenziale», doppio lp, digital, ovvero a ognuno il proprio Bowie. E per ingolosire i fan – come è canonico in simili progetti – un inedito Sue (or in a season of crime), registrato la scorsa estate nella Grande mela con la Maria Schneider Orchestra e prodotta dallo stesso Bowie con Tony Visconti.

Un’operazione di catalogo – a cui le major ormai attingono come una panacea per dare respiro ai bilanci asfittici – fatta però con molta cura. A partire dalle copertine, tre bellissime immagini dell’artista ripreso in altrettanti momenti della sua carriera. L’autore è Jonathan Barnbrook che ha lavorato sugli ultimi tre dischi da studio di Bowie: «Ogni formato – ha spiegato – ha un’immagine diversa. Il tema comune è Bowie che guarda lo specchio: qualcosa che fosse sufficientemente forte come ’archetipo’ da offrire un link visivo immediatamente riconoscibile, ma che fosse anche chiaro nel fare capire che questa è una raccolta di canzoni che copre l’esperienza di vita di una persona, non necessariamente un concetto specifico o un determinato periodo come fanno in genere gli album».

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Insieme ai classici, da Ziggy Stardust a Heroes, Young Americans, la raccolta propone rarità e materiali esclusivi, come una versione (stereo mix) di All the Young Dudes, una hit scritta da Bowie per i Mott The Hoople e che qui reinterpreta, Shadow Man, un outtake del 1971 riproposto in una versione ri-registrata per l’album Toy ma mai pubblicata in precedenza.