«Devo spiegare una cosa ai cittadini italiani. Quando gli ex parlamentari impugnano il taglio dei vitalizi non vanno di fronte a un tribunale. Vanno di fronte all’organo interno della camere, che ha le stesse sensibilità politiche di chi ha tagliato i vitalizi». Luigi Di Maio era stato chiarissimo. In televisione, su La7 il 26 luglio 2018, aveva spiegato bene perché il Movimento 5 Stelle ha deciso di tagliare i vitalizi degli ex parlamentari non con una legge, come pure raccomandato dal Consiglio di Stato e dalla Cassazione, ma con una delibera dell’ufficio di presidenza di ciascuna delle due camere. In questo modo gli ex deputati ed ex senatori che hanno subito un taglio variabile dall’1% al 90% dell’indennità (in media del 41%) non possono rivolgersi alla giustizia ordinaria. E così oltre duemila ricorsi (1.400 alla camera e la metà al senato) sono stati presentati agli organi di giustizia interna del parlamento. Dove Di Maio era tranquillo: la «stessa sensibilità politica» significava che i 5 Stelle con la Lega avevano il controllo di quegli organi e avrebbero potuto respingere i ricorsi. Poi la maggioranza è cambiata. Di Maio ha rifatto i conti. E ha cominciato a fare la guerra ai giudici interni.

Che deputati e senatori della Commissione contenziosa (senato) e del Consiglio di giurisdizione (camera) siano veri e propri giudici l’ha ribadito la Cassazione, respingendo la richiesta di un ex parlamentare che aveva tentato la via della giustizia ordinaria. Ma aggiungendo che l’autodichia – cioè il potere che hanno le camere di giudicare internamente le controversie insorte con i propri dipendenti – non esclude che siano proprio la Commissione e il Consiglio a decidere di rivolgersi alla Corte costituzionale. Dove comunque la questione dei vitalizi arriverà, visto che il governo ha scelto di impugnare la legge in materia della regione Sicilia.

Il Movimento, dunque, non si fida più dei giudici interni e delle loro «sensibilità politiche». Malgrado le decisioni degli organi di autodichia vadano motivate sulla base di ragioni giuridiche, e la Cassazione a sezioni unite ne ha fornite di nuove in favore dei ricorrenti, ribadendo che il vitalizio come l’indennità ha la finalità di garantire il libero svolgimento del mandato parlamentare.

Il taglio è operativo ormai da 13 mesi. Al senato, dove la decisione sarebbe potuta arrivare alla fine del 2019, la senatrice grillina nella Commissione si è dimessa, ottenendo un rinvio. A fine gennaio la nuova rappresentante dei 5 Stelle ha chiesto un nuovo rinvio. Gli altri componenti della Commissione sono il presidente Caliendo di Forza Italia, un senatore leghista e due esterni nominati dalla presidente del senato Casellati. Nell’attesa della decisione, prevista per il 20 febbraio ma ormai già slittata, il Fatto quotidiano e La Notizia sono riusciti a ottenere un documento istruttorio in base al quale i ricorsi degli ex parlamentari sarebbero stati accolti. «Il rinvio è stato usato per passare a giornali amici i testi che dovevano servire in camera di consiglio per la sentenza: anziché avviare un’indagine sulla violazione del segreto è stata scatenata una campagna contro la presunta sentenza preconfezionata», ha denunciato ieri il presidente dell’associazione ex parlamentari Falomi.

I 5 Stelle hanno lanciato una campagna contro i senatori-giudici. Accusando uno dei componenti esterni della Commissione di rapporti privilegiati con la segreteria della presidente Casellati. E attribuendo a Caliendo un conflitto di interessi, perché titolare del diritto a un vitalizio che dovrà essere ricalcolato con le nuove regole, se ancora in vigore. Solo che, ha spiegato ieri Falomi, dal ricalcolo Caliendo avrebbe da guadagnarci. Eppure la scorsa settimana il senatore di Forza Italia ha annunciato che si asterrà dal giudizio. Pur negando qualsiasi conflitto di interessi: sull’astensione deciderà martedì il presidente dell’organo di appello interno. Casellati nel frattempo ha cambiato idea e ha invitato tutti i senatori-giudici ad astenersi. Per i 5 Stelle non basta, tutta la Commissione andrebbe azzerata. I tempi della decisione si allungano. Mentre alla procura di Roma giace da 15 mesi una querela contro Di Maio che ha definito «dis-onorevoli, parassiti e senza vergogna» gli ex parlamentari che hanno presentato ricorso. Le indagini, evidentemente non troppo complesse, si sono chiuse. Poi più nulla.