Vita da artista e lavoro autonomo. Un binomio, quello tra professione «creativa» e lavoro alla ricerca di diritti quasi sconosciuto in Italia, tanto per le istituzioni quanto per i diretti interessati esposti alla cultura dell’«imprenditore di se stesso».

UN’IPNOSI diffusa nel lavoro culturale e più in generale in quello indipendente nel mondo esposto può essere interrotta leggendo «Vita da artista», una ricerca realizzata da Daniele Di Nunzio, Giuliano Ferrucci e Emanuele Toscano per la Slc-Cgil, presentato ieri a Roma al teatro Sala uno. Non nuovi all’esplorazione dei professionisti indipendenti, i ricercatori hanno ricevuto 3.856 risposte ai loro questionari, e ne hanno analizzati 2.090. E finalmente hanno fatto chiarezza in una costellazione che conta su 136.571 artisti, tanti ne risultavano all’Inps nel 2015. Più della metà sono attori, seguono i concertisti e gli orchestrali, i danzatori, i lavoratori della moda e della figurazione, i cantanti.

CHI FA SPETTACOLO è in maggioranza sotto i 45 anni e si dichiara un «lavoratore autonomo con scarsi diritti e tutele» e chiede maggiore continuità occupazionale con più tutele (80%). La formula più diffusa tra gli interpellati è il contratto a tempo determinato (80%), mentre quello stabile è un’eccezione (10%). Il contratto più frequente è quello temporaneo: nel 2015 ha interessato due lavoratori su tre. La partita Iva è stata usata nel 22% dei casi, mentre il ricorso al voucher – ora abolito – è aumentato in due anni dal 5,4% nel 2014 al 9,2% nel 2015. Il ricorso a queste formule avviene nel corso dell’anno: la stessa persona lavora con la partita Iva, con un contratto o la cessione dei diritti d’autore o d’immagine. La pluricommittenza riguarda il 44% dei casi, mentre solo il 21% è monocommittente. I guadagni sono molto magri: 5430 euro medi all’anno. Una cifra che dipende dal numero delle giornate e della paga. L’83% delle donne guadagna meno di 10 mila euro nel 2015, contro il 71% degli uomini. In molti denunciano la piaga del lavoro indipendente: il ritardo dei pagamenti. Solo un artista su quattro è pagato puntualmente, il 21% con ritardi tra 3 e sei mesi, il 10% dopo sei mesi. Con garanzie contrattuali scarse, e tutele sociali inesistenti, ricevere un prestito da una banca è un impresa, così come affrontare una spesa imprevista o iscriversi a una previdenza complementare.

LAVORO GRATUITO. Nello spettacolo ne esiste tantissimo e incide sui compensi bassi, sui versamenti previdenziali e sulla possibilità di ricevere un sussidio di disoccupazione. Non si contano i casi di lavoro irregolare o in nero: sembra una parte costitutiva di questo lavoro. Il 40% del campione ha dichiarato di svolgere mansioni non previste dal contratto o dalla commessa. In più le prove non sono quasi mai pagate (69%). Poi si lavora in periodi concentrati dell’anno: il numero medio annuo delle giornate di lavoro retribuite è di 34, molto più alto per registi e sceneggiatori, più basso per gli attori (14).

VISTI I DATI gli intermittenti dello spettacolo percepiscono altri redditi, altrimenti non potrebbero sopravvivere. Il 40% svolge un’altra attività. Questa necessità accompagna la duttilità multidisciplinare che rende il lavoro dello spettacolo un’esemplificazione del lavoro contemporaneo. Un artista può essere attore o autore, ma anche allestitore e amministratore del suo spettacolo. E ci muove molto: il 57% sostiene di lavorare spesso in trasferta. Molto spesso i rimborsi non sono sufficienti a coprire le spese. Problemi comuni a tutti e che si protraggono dopo i 40 anni.

PAURA DI PERDERE il lavoro, ma anche senso di responsabilità. La «creatività» assume un profilo più materiale e umano: ansia stress e depressione, problemi muscolo-scheletrici o mal di testa. Fare l’artista è un lavoro, non solo una passione. La forte propensione all’autonomia è un progetto di vita che va tutelato nella società, ma anche nella professione da indipendenti sul mercato. Anche per questo, e non diversamente da altri segmenti del quinto stato, dalle risposte al questionario emerge tra gli artisti la necessità dell’equo compenso e il sostegno al reddito (minimo) in caso di disoccupazione e tutele sociali. Vista la loro frequenza in altri settori del lavoro autonomo, e non solo, per il sindacato e la politica sono segnali da cogliere.

«Il rapporto inchioda la politica alle sue responsabilità – sostiene Francesca Bizi, segretaria nazionale Slc Cgil –  il Mibact ed alcuni esponenti parlamentari si sono presi l’impegno di trovare soluzioni».