Il teatrino delle figuracce. È davvero andata male un po’ per tutti la vicenda Djokovic e il visto per l’Australia annullato e poi riconsegnato. Ottenendo – almeno per il momento – il diritto di accedere al suolo australiano per prepararsi all’Australian Open (dal 17 gennaio) contro il parere del governo di Canberra, il tennista serbo ha sicuramente vinto il primo set della sua battaglia, ideologica e mediatica.

Ma la vicenda non è affatto conclusa. Come si legge da documenti ministeriali, il ministro dell’immigrazione del governo australiano, Alex Hawke, in base al Migration act, dispone di ampio potere discrezionale nella potenziale revoca del visto a Novak Djokovic.

E se appare evidente che non ne esce bene l’Australia, con il suo conflitto di potere sul tema immigrazione tra governo centrale, federale e statale, la perdita di credibilità del numero uno al mondo del tennis è via via andata delineandosi.

I primi colpi alla sua immagine sono arrivati ad aprile 2020, quando Djokovic ha organizzato un torneo in Croazia – mentre lo sport era fermo per la pandemia – con tennisti senza mascherine, pubblico ammassato, nessuna misura anti Covid-19. Già allora in molti presero le distanze dal serbo, compreso Roger Federer e Rafa Nadal, i suoi avversari in 15 anni di successi. In quell’occasione Djokovic confessò alcuni errori, informando pubblicamente del suo contagio (e della moglie). Stavolta, in nome della battaglia silenziosa e militante contro la vaccinazione, non ha neppure avuto il coraggio di commentare le immagini su profili ufficiali, come quello delle Poste serbe, in cui è immortalato il 17 dicembre senza mascherina in pubblico, a 24 ore dalla sua positività rivelata anche alla polizia di frontiera.

Ed è da stigmatizzare anche l’atteggiamento della sua famiglia. Dal padre che paragona il figlio a Spartaco e Gesù, durante l’incredibile conferenza stampa di ieri mattina, alla mamma che parla di molestie subite dal figlio, Eppoi padre, mamma, fratello e zio, in coro su Djokovic torturato, sui diritti umani negati per essere stato rinchiuso quattro giorni in una struttura dove i rifugiati vivono anni, anche decenni. Il clan Djokovic ha parlato di un ipotetico arresto del numero uno al mondo, mentre questi piazzava su Instagram la prima foto su un campo da tennis a Melbourne, con il suo staff tecnico, alla fine di un allenamento. E nessuno ha invece commentato le immagini del campione senza mascherina, in pubblico, poco dopo aver saputo di essere di nuovo positivo al Covid-19.

Insomma, un caso surreale che ha fomentato la politica reazionaria, non solo serba: anche ieri il leader di Reform Uk, Nigel Farage, si è speso per la causa di Djokovic, nei giorni scorsi era stato il partito neofascista spagnolo Vox a celebrare la battaglia del primo giocatore del mondo contro il totalitarismo australiano. Ora, in attesa di un eventuale altro provvedimento del governo australiano, il secondo set di questa vicenda ci sarà a Melbourne, se davvero Djokovic sarà al via degli Australian Open. Il serbo dovrà affrontare un altro tipo di corte, ovvero la reazione del pubblico.

A Melbourne c’è stato infatti il lockdown più lungo al mondo, 262 giorni di chiusura forzata. Eppoi, i suoi colleghi, che si sono sottoposti alla vaccinazione per potersi iscrivere al torneo, accetteranno la sua presenza o qualcuno per protesta lascerà il campo?