Visco: “Con l’Europa Renzi sbaglia, basta con le richieste di flessibilità”
Intervista Serve una strategia: non rivendicazioni spicciole, ma puntare agli investimenti. L’ex ministro delle Finanze: per creare lavoro non bastano incentivi al Jobs Act, bisogna rilanciare la crescita. E non vedo misure anti-evasione
Intervista Serve una strategia: non rivendicazioni spicciole, ma puntare agli investimenti. L’ex ministro delle Finanze: per creare lavoro non bastano incentivi al Jobs Act, bisogna rilanciare la crescita. E non vedo misure anti-evasione
«Lo scontro tra il governo italiano e Bruxelles va avanti da tempo, ma ora sta prendendo una piega pericolosa. Secondo me Renzi può aver ragione sulla questione dell’oleodotto e delle banche, ma sbaglia sulla flessibilità: in questo caso mi pare più corretta la posizione di Junker». Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze e presidente del Nens, ritiene che il nostro esecutivo abbia sbagliato a impostare i rapporti con la Ue «fin dal semestre italiano». E oggi, nonostante quello che ci avrebbe potuto insegnare il caso Tsipras, e dopo numerosi tira e molla sulla flessibilità, siamo arrivati al conflitto aperto.
Insomma lo scontro con Junker non era inaspettato.
È una situazione che va avanti da un po’. Va detto che Renzi ha anche il suo carattere, ma a Bruxelles, dove i rapporti sono almeno in apparenza più felpati e politically correct, le sue uscite vengono percepite come atteggiamenti di prepotenza. A parte la forma, comunque, direi che ci dovremmo muovere in altro modo anche nella sostanza, nella gestione dei nostri contenuti. Servirebbe un dibattito più pacato, le rivendicazioni spicciole non sono utili, ci vuole una strategia.
Che tipo di strategia? Il governo in cosa sbaglierebbe?
Renzi ha delle ragioni, non tanto sulla flessibilità, di cui abbiamo usufruito, ma su altro: la questione dell’oleodotto nel Mare del Nord, la vicenda delle banche. Quando era cominciato il semestre italiano, non bisognava andare a Bruxelles a chiedere flessibilità, ma porre in modo pacato una discussione su tutta la politica economica della Ue: contestare l’atteggiamento con cui è stata trattata la Grecia, o, come fa oggi lo stesso Renzi, ispirarsi all’esempio degli Usa, che hanno fronteggiato efficacemente la crisi. Al contrario, abbiamo subito quanto deciso dalla Germania, e questo ha portato tutto il continente a una doppia recessione. Il ministro Padoan andò a fare il suo giro nelle cancellerie, come avviene a chi guida il semestre, ma dopo l’incontro con Schauble disse che c’era «piena identità di vedute tra Italia e Germania». Sappiamo che non è mai stato così: le linee equivoche non ci giovano.
La flessibilità poi però è arrivata. Non è merito di Renzi?
È vero, l’abbiamo ottenuta, ma lì ha ragione Junker: perché è stata una scelta anche dovuta alla nuova maggioranza che si era creata in Europa, e noi ne abbiamo beneficiato. Il problema di fondo è che l’Italia deve sapersi creare delle alleanze, con una strategia: da soli non possiamo fare la voce grossa, in quanto non abbiamo mai risolto i nostri problemi di finanza pubblica. Dobbiamo proseguire nel risanamento, serve più crescita, produttività, riforme strutturali. Poi nel Nord Europa e a Bruxelles ci sono pregiudizi radicati nei nostri confronti, e spesso non sono del tutto ingiustificati: siamo visti come bugiardi, inaffidabili, spendaccioni. Mentre i nostri funzionari quasi si vergognano a difendere gli interessi nazionali. Perciò serve, da parte del nostro premier, risolutezza, ma anche prudenza e consapevolezza.
Sulla vicenda delle banche ce la siamo cavata meglio?
In questo caso ha maggiori responsabilità il governo precedente, che non avrebbe dovuto accettare la retroattività del bail in. Adesso si sta tentando quel che si può, ma ricordiamo che il nostro sistema bancario ha dimostrato grande stabilità quando, nel pieno della crisi finanziaria, crollavano gli istituti tedeschi, francesi, olandesi. Le banche coinvolte oggi rappresentano soltanto l’1% dei depositi, e hanno avuto difficoltà non perché piene di titoli tossici, ma perché erano in rapporto con le imprese più coinvolte dalla crisi economica, quelle di provincia, più periferiche. Quando perdi 10 punti di Pil in pochi anni, può accadere che alcune banche vadano in sofferenza: il problema è che poi sono state colpite famiglie di piccoli risparmiatori, e c’è stato il suicidio, il quadro si è drammatizzato con ricadute sociali.
Banca d’Italia e Consob hanno agito bene?
Hanno responsabilità diverse: la Banca d’Italia sovrintende alla stabilità del sistema, e mi sembra che l’abbia saputa garantire. Diverso per chi dovrebbe controllare la trasparenza, che qui mi pare sia mancata.
Come giudica la legge di Stabilità?
Vedo una miriade di microinterventi, che servono più che altro a creare consenso presso alcuni settori elettorali. La manovra non è espansiva: sono tagli di spese e di tasse il cui saldo va quasi a zero. Io avrei concentrato le risorse sugli investimenti: se riduci le tasse, come moltiplicatore hai tra lo 0,8 e l’1, mentre se fai gli investimenti giusti, puoi andare dall’1,5 al 3.
Potrebbe servire firmare i contratti pubblici?
I prezzi non sono aumentati negli ultimi anni, e siamo stati in regime di stretta di bilancio: che senso avrebbe dare aumenti salariali ai dipendenti pubblici? Le priorità sono dove c’è più bisogno: la povertà, e prima di tutto chi ha perso il lavoro. Ci sono ampi spazi di miglioramento per gli ammortizzatori sociali.
Gli incentivi alle assunzioni, al Jobs Act, non bastano?
Sono costati molto, e hanno aiutato a stabilizzare alcuni contratti: ma per creare nuova occupazione serve la crescita dell’economia. Servono investimenti.
E la lotta all’evasione? Secondo Renzi funziona.
Io non vedo nuove misure anti evasione. Nella legge di Stabilità di fine 2014 avevano applicato due sistemi suggeriti dal Rapporto Nens: il reverse charge e lo split payment, che a detto dello stesso Renzi hanno funzionato. Noi però avevamo suggerito anche la comunicazione telematica in automatico, al cliente e all’amministrazione finanziaria, dei dati contenuti nelle fatture: frutterebbe 40 miliardi in tre anni, agendo direttamente nella catena dell’Iva. Ma non si è fatto. Per la lotta all’evasione, ci deve essere una seria volontà politica.
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