La capacità di equivocare il linguaggio, cambiare il senso delle parole, fare prendere fischi per fiaschi è la capacità di un potere fondato sulla demagogia dell’audience e la capacità percussiva delle piattaforme digitali. Lo abbiamo visto all’opera ieri quando il premier di fatto di un governo terremotato dall’esito delle elezioni europee, Matteo Salvini ha detto che nelle considerazioni finali alla 125esima relazioni annuale della Banca d’Italia il governatore Ignazio Visco avrebbe confermato «la necessità di uno choc fiscale per far ripartire l’economia italiana. La flat tax è la prima riforma che governo e parlamento dovranno discutere».

L’ESIGENZA DI SVETTARE da parte dell’unto dal 34% dei voti ha portato Salvini ad equivocare il senso delle parole di Visco che, in realtà, ha sostenuto l’utilità di “un’ampia riforma fiscale di sistema” da non adottare “modificando la struttura di una singola imposta”. Se così fosse, come vuole la Lega, questa “riforma” aumenterebbe le agevolazioni fiscali e le esenzioni, non le diminuirebbe come hanno fatto intendere i suoi «esperti». Visco, in realtà, ha riproposto un discorso non nuovo sulla necessità di rivedere la giungla delle detrazioni introdotte sin dagli anni Settanta senza rispettare alcun disegno organico. Da qui è nato il suo riferimento a un’«ampia riforma fiscale» di segno diverso da quella pretesa da Salvini. Le citazioni fatte da Visco di Canetti e Wittgenstein a proposito del linguaggio possono essere lette, retrospettivamente, anche per l’uso che ne ha fatto ieri Salvini. «Anche per chi risparmia, investe e produce, le parole sono azioni e nell’oscurità le parole pesano il doppio» ha detto il governatore che parlava dello «spread» il cui rialzo «potrebbe portare a un aumento del costo dei finanziamenti per le imprese e le famiglie». In un capitalismo dove il linguaggio è produzione, e le parole sono merci (avrebbe detto il semiologo Ferruccio Rossi-Landi), ogni discorso va regolato secondo il tribunale della vita al tempo dell’economia finanziarizzata: lo «spread». A Visco che ha ricordato la disciplina, Salvini ha risposto che «l’unico modo per correre e crescere, dare lavoro e speranza è tagliare le tasse». A Visco che ha chiesto di «non addossare all’Europa le colpe del nostro disagio, senza saremmo più poveri», Salvini ha risposto in serata che «l’Italia è più povera per colpa di vincoli e regole vecchie». Finiti gli equivoci, prodotti dal linguaggio, il risultato è un muro contro muro.

PER VISCO UNA MANOVRA espansiva in deficit comporterebbe più rischi che benefici. A questo proposito ha citato un saggio pubblicato il 25 ottobre 2018 scritto dall’ex capo economista dell’Fmi Olivier Blanchard con Jeromin Zettelmeyer. L’economista noto per avere riflettuto sulla categoria paradossale di «austerità espansiva» (poi seguì un ripensamento in un saggio del 2013 con Daniel Leigh), ha descritto la tormentatissima legge di bilancio approvata dal parlamento nel dicembre scorso, senza fiatare né conoscerla, ispirata al criterio dell’«espansione fiscale restrittiva». Significa che lo «choc fiscale» di Salvini «molto probabilmente non riuscirà ad aumentare la crescita. Anzi, potrebbe persino ridurla. Così il disavanzo diventerebbe ancora più grande del previsto. I sostenitori del governo rimarrebbero insoddisfatti. Il governo potrebbe tenere il punto, e gli investitori fuggirebbero, causando una seria crisi». Con le parole di Visco, aggiornate alle ultime funamboliche trovate: «L’effetto espansivo di una manovra di bilancio può essere più che compensato da quello restrittivo legato all’aumento del costo dei finanziamenti per lo Stato e l’economia». In pratica: il premio classista ai redditi medio-alti, e relativi condoni aggiuntivi non sarebbe compensato dalla crescita, ma sarebbe pagato dall’aumento del deficit e del debito.

COME RIMEDIO ALLA CRISI in un paese che «senza immigrati la popolazione tra i 20 e i 64 anni diminuirebbe di 3,5 milioni entro il 2030», Visco ha riproposto la legge della stabilità dei mercati e della disciplina di bilancio e ha raccomandato di individuare compensazioni alla disattivazione delle clausole dell’Iva pari a 23 miliardi di euro per il 2020, come auspicato nel Def del governo. Il governatore chiede «una strategia rigorosa e credibile per la riduzione del debito pubblico», un «disegno di riforme strutturali di ampio respiro, volto a rimuovere gli ostacoli alla concorrenza, agli investimenti in capitale fisico e in capitale umano». Sembra la riedizione del dilemma del prigioniero da cui, probabilmente, al momento non c’è uscita.