Nota della redazione del 3 aprile 2020

Dopo la pubblicazione, l’articolo è stato rieditato in alcune parti per correggere eventuali errori (qui la nostra politica in merito) o precisare meglio alcuni passaggi. Ce ne scusiamo con i lettori e con l’autore, che risponde alle critiche con una postilla in calce. 

Le zoonosi, malattie che si propagano da un animale all’uomo, sono sempre più frequenti. E i virus acquisiscono sempre più la capacità di trasferirsi all’uomo e infettarlo.

Il nuovo coronavirus, probabilmente partito dai pipistrelli e poi passato all’uomo, si sta diffondendo su scala planetaria, scatenando paure ancestrali.

L’origine dell’epidemia di Covid-19 al momento è stata individuata nel mercato della città cinese di Wuhan, dove si vendevano animali d’allevamento e fauna selvatica. Lo spillover, il salto di specie, rappresenta il passaggio di un virus da un ospite tradizionale, che ha rappresentato il serbatoio naturale per un lungo periodo di tempo, a un altro ospite di specie diversa che in precedenza era in grado di resistere al contagio.

Lo spillover è un evento molto temuto, in quanto il nuovo virus in grado di replicarsi nell’organismo umano non trova gli specifici anticorpi che possano attuarne la difesa.

Si calcola che più del 60% delle malattie infettive presenti nella specie umana si sia originata da specie animali selvatiche e domestiche: pipistrelli, topi, maiali, scimmie, gatti.

NEGLI ULTIMI 16 ANNI sono state ben 5 le epidemie che si sono originate dagli animali e che hanno interessato la popolazione umana.

Nel 2003 è comparsa la Sars, Sindrome respiratoria acuta grave, che dai pipistrelli si è trasferita agli zibetti (piccoli mammiferi) e poi all’uomo.

Nel 2009 si è diffusa una epidemia causata dal virus H1N1, nota come influenza suina, trasmessa dagli uccelli ai suini e poi passata all’uomo.

Nel 2012 è comparsa la Mers, Sindrome respiratoria del Medio Oriente, trasmessa dai pipistrelli ai cammelli e, in seguito, all’uomo.

Nel 2014 anche il virus responsabile di Ebola, già individuato a metà degli anni ’70 e trasmesso dai pipistrelli della frutta, ha acquisito la capacità di trasferirsi direttamente da uomo a uomo. L’epidemia, che causa una febbre emorragica letale, ha imperversato in questi anni in Guinea, Liberia, Sierra Leone e Nigeria.

Nel dicembre 2019 ha fatto la sua comparsa il nuovo coronavirus. Le ricerche hanno evidenziato che il virus responsabile dell’epidemia attuale, per adattarsi all’uomo, ha modificato due proteine strutturali e una proteina di superficie. Il legame che si instaura tra le proteine di superficie del virus e i recettori presenti sulle cellule umane rappresenta la chiave per aprire la serratura e insediarsi all’interno delle cellule.

Il virus responsabile dell’epidemia di Covid-19 è per l’80% simile a quello della Sars, ma è meno letale, anche se più contagioso.

POTREBBERO ESSERE PIÙ DI UN MILIONE i virus in grado di infettare le specie animali. Sono almeno 260 i virus di origine animale che, per le loro caratteristiche, sono in grado di infettare l’uomo.

Si sta costruendo, pur con difficoltà, un profilo ecologico di questi virus: le aree del pianeta in cui sono più diffusi, le popolazioni animali infettate, le popolazioni umane più esposte.

L’Oms, 20 anni fa, aveva indicato nei coronavirus, virus a Rna, i patogeni che potevano effettuare più facilmente il salto di specie e causare gravi epidemie.

Questi tipi di virus, per le loro caratteristiche, sono in grado di produrre più varianti, sviluppando una elevata capacità di adattamento a più specie. Dopo che il virus si è insediato nel nuovo ospite va incontro a un processo di adattamento, con mutazioni casuali nelle singole lettere genetiche del Rna.

I virologi stanno seguendo il diffondersi dell’epidemia di Covid-19 per individuare le variazioni che possono comparire, sapendo che, se aumenta la capacità di adattamento del virus, aumenta anche la sua capacità di trasmettersi.

LA DEVASTAZIONE DEGLI ECOSISTEMI e la crisi climatica stanno contribuendo in modo determinante a favorire il salto di specie. Anche gli allevamenti intensivi, in particolare polli e suini, sono serbatoi di patogeni.

La pandemia causata dal virus H1N1 e che si è originata dai suini, ha causato tra il 2009 e il 2010 più di 150mila morti a livello mondiale. L’espansione delle attività umane, la deforestazione, l’invasione di aree abitate da animali selvatici favoriscono il contatto con nuovi patogeni.

Siamo in presenza di una crisi ecologica e di una crisi sanitaria che manifestano in modo convergente i loro effetti.

Ma per risolvere l’enigma del salto di specie è necessario prendere in considerazione un altro aspetto: l’inquinamento genetico del pianeta causato dalla presenza di centinaia di organismi geneticamente modificati. La manipolazione genetica porta alla diffusione sempre più ampia di geni nei genomi di piante coltivate per uso alimentare o per la preparazione di prodotti chimici.

Sappiamo che quando un Ogm viene inserito in natura produce interazioni con altre forme di vita. Gli organismi geneticamente modificati sono, di fatto, nuove specie che vengono inserite negli ecosistemi e che possono compromettere il loro equilibrio. Questa contaminazione genetica pone seri problemi di sicurezza ambientale.

Postilla dell’autore

In queste settimane si è sviluppato un importante dibattito sul rapporto che intercorre tra gli squilibri ambientali e la diffusione delle “malattie emergenti”. I cambiamenti climatici, la pressione antropica, l’alterazione degli ecosistemi producono effetti che favoriscono il passaggio e la diffusione di virus e batteri.

Le coltivazioni transgeniche e le tecniche impiegate hanno un impatto rilevante sull’ambiente: compromissione della biodiversità, interferenze con la materia organica e la comunità microbica presenti nel suolo, sviluppo di resistenza agli erbicidi da parte di numerose piante infestanti, interferenze nel rapporto tra insetti fitofagi ed entomofagi (le tossine prodotte dai tessuti del mais Bt, ad esempio, attaccano insetti non dannosi per la pianta).

Non riteniamo sia una “bufala” sostenere che l’introduzione di Ogm produca alterazioni nell’equilibrio degli ecosistemi e concorra a determinare gli squilibri ambientali. Non sono, certamente, gli Ogm i serbatoi di virus, ma la loro diffusione pone seri problemi di sicurezza ambientale. Crediamo nella ricerca e nella innovazione in agricoltura, ma rivendichiamo la nostra posizione critica nei confronti degli Ogm.

Francesco Bilotta