Chi si ricorda di Guido Guidesi? Il deputato leghista di Codogno all’inizio di marzo fu il primo a essere bloccato nella zona rossa e a non poter partecipare ai lavori della camera. Dopo qualche discussione, a Montecitorio si decise di considerarlo in missione: assente, cioè, ma giustificato e più importante conteggiato ai fini del numero legale. Sette mesi dopo il virus circola anche di più, ci sono i primi parlamentari contagiati e soprattutto sono tanti quelli costretti dal rispetto delle regole a fare il tampone e a chiudersi in isolamento fiduciario in attesa del risultato. Ieri a Montecitorio erano 41 solo nella maggioranza e sono risultati decisivi per far mancare il numero legale. Due volte. Così, mentre il senato approvava tranquillamente la risoluzione che serve a dare il concerto del parlamento alle nuove misure anti virus del governo, la camera dopo aver ascoltato il ministro Speranza si è bloccata. Colpa dei deputati assenti per forza, come Stefano Fassina che arrivato all’ingresso del Palazzo è stato fermato dagli uscieri perché componente della commissione bilancio come la deputata Lorenzin, positiva. Fassina ha fatto il tampone ed è negativo, oggi rientrerà, ma nel frattempo è finito tra gli assenti ingiustificati. Da oggi non accadrà più perché ieri sera la giunta per il regolamento della camera ha deciso che tutti i deputati in «quarantena» e i positivi saranno considerati in missione. Come nel precedente caso Guidesi.

Un aiuto alla maggioranza, che ieri è stata messa in difficoltà dalla decisione del centrodestra di far scattare la trappola del numero legale, viste le numerose assenze. Non solo quelle legate alle «quarantene», dal momento che tra i giallo-rossi c’erano altri 49 assenti non giustificati, quasi tutti (34) grillini a conferma del fatto che ci sono problemi politici e non solo sanitari. La decisione della giunta per il regolamento apre nuovi problemi e non risolve del tutto quelli vecchi. Nuovi problemi potrebbero sorgere dal fatto che sarà impossibile controllare le auto dichiarazioni dei parlamentari che comunicheranno via mail all’ufficio assemblea la loro condizione di isolamento fiduciario: il numero dei deputati in missione potrebbe salire di molto (già ieri sarebbero stati già 123 su 630). Ma grossi problemi potrebbero esserci ancora per quelle votazioni dov’è richiesta una maggioranza qualificata. Per esempio la nota di aggiornamento al Def che, prevedendo un ulteriore scostamento di bilancio, dev’essere approvata dalla camera a maggioranza assoluta: servono 316 sì a prescindere da quanti sono in missione. O la seconda lettura della riforma costituzionale che allarga ai 18enni il voto per il senato: il disegno di legge è passato in commissione e la settimana prossima sarà in aula, anche in questo caso serve la maggioranza assoluta (o i 2/3 per evitare il referendum).

Problemi che potrebbero essere risolti aprendo anche il parlamento italiano, come le Cortes o Westminster, al voto a distanza. Lo propone da tempo il deputato Pd Stefano Ceccanti, la sua modifica al regolamento mutuata proprio da quello spagnolo è stata sottoscritta da oltre cento deputati di tutti i partiti ma è ferma per la contrarietà degli uffici e della presidenza della camera.
Intanto ieri il numero legale è mancato due volte, il centrodestra ha esultato e la maggioranza ha polemizzato. Curioso però che a essere impedito è stato proprio quel residuo controllo che il parlamento può esercitare sulla gestione dell’emergenza da parte del governo. La risoluzione infatti aveva lo scopo di dare copertura parlamentare alla proroga dello stato di emergenza e all’obbligo di mascherine all’aperto, quello che il governo avrebbe dovuto decidere ieri sera nel Consiglio dei ministri. Lo stop della camera ha costretto invece a rinviare il Consiglio a oggi alle undici, nel frattempo Montecitorio avrà scavalcato l’ostacolo anche grazie alle missioni «allargate» decise ieri sera della giunta.

Malgrado lo stop dell’aula, il governo avrebbe potuto ugualmente procedere con la proroga dello stato di emergenza – fino al 31 gennaio 2021 – perché è contenuta in un decreto legge, e non nel Dpcm che aspetta per «cortesia istituzionale» il voto della camera. Non lo ha fatto perché nel decreto legge intende prevedere anche i confini del nuovo Dpcm, proprio quelli che ha illustrato ieri Speranza in parlamento. Lo stop ha creato un problema con i tempi, perché le vecchie misure anti contagio scadono oggi e non c’è più il tempo per pubblicare le nuove in Gazzetta ufficiale. In conclusione sarà necessario un Dpcm «ponte» con una durata breve. Un affannoso rincorrersi di norme anti Covid, mentre proprio il Covid rende più difficile per il parlamento tenere il passo.