Una faccia moderata, rassicurante. Si consuma all’insegna del low profile il debutto di Virginia Raggi, candidata a sindaco di Roma scelta tre giorni fa da 1700 o poco più iscritti al portale web del Movimento 5 Stelle e considerata grande favorita dai sondaggi elettorali. Raggi ha incontrato i giornalisti nella sede della stampa estera. «Abbiamo scelto questo posto – ha esordito – perché vogliamo rilanciare l’immagine di Roma nel mondo».

Sotto gli occhi attenti di un concentratissimo Rocco Casalino, «comunicatore» del 5 Stelle, Raggi gioca la carta della pacatezza e dell’understatement: più Di Maio che Di Battista. «Buon senso» e «semplicità» sono le parole ricorrenti. I giornalisti stranieri la provocano a proposito della parola d’ordine un po’ autarchica utilizzata fino a oggi dal M5S («Roma ai Romani») ma lei annuncia che lo slogan d’ora in poi sarà un altro: «Vogliamo che Roma».

Ma in platea aleggia una faccenda spinosa: «è vero che Raggi è stata praticante nello studio legale dello storico difensore di Berlusconi ed ex ministro della difesa di Forza Italia Cesare Previti?». Lei sospira, fa un sorriso un po’ forzato e ammette: «Mi occupavo di diritto informatico e il mio professore, all’epoca, lavorava in quello studio». La platea insiste: «Beh, non si trattava certo di un dettaglio da poco: perché l’aveva omesso?». Lei minimizza: «Di solito gli avvocati non mettono nel curriculum dove hanno fatto la pratica». E chiede che gli altri partiti «prendano le distanze da certe illazioni», perché quella che sta per cominciare sia una «campagna elettorale leale». Getta acqua sul fuoco, l’aspirante sindaca, ma non smorza i sospetti di chi sostiene che l’informazione sia stata fatta circolare ad arte (da) dentro il M5S e proprio nelle ore del ballottaggio online. Insomma, l’ennesima faida locale della giovane storia pentastellata.

«Roma non è solo degrado», ribadisce Raggi, consigliera comunale uscente, considerata vicina a Di Battista e Casaleggio. Il suo sfidante principale, anch’egli reduce dalla consiliatura finita con le dimissioni di Marino, è stato Marcello De Vito. Quest’ultimo era sostenuto da Roberta Lombardi, la deputata romana che in questo incontro, che rappresenta l’esordio ufficiale con la stampa dell’aspirante sindaca si accomoda in prima fila, accanto a Paola Taverna e Carla Ruocco. Cioè quasi a comporre una specie di delegazione di quel «direttorio romano» che – come hanno promesso i grillini nei giorni scorsi – affiancherà, se sarà eletto, il sindaco pentastellato.

Raggi si presenta scortata da due «cittadini» che introducono i temi indicati come prioritari dagli iscritti: la mobilità e i rifiuti, cioè il traffico e la discarica di Malagrotta. Poi affronta le domande sforzandosi di apparire tranquillizzante: dribbla ogni accostamento ad Ada Colau, la sindaca di Barcellona proveniente dai movimenti («Non posso paragonarmi a nessuno»), si mostra possibilista sulla costruzione di nuovi stadi («Siamo favorevoli a nuovi impianti, purché non nascondano speculazioni») e non chiude la porta neppure alla candidatura per le Olimpiadi («Potrebbe anche essere che nel 2024 Roma sia pronta a gestire Olimpiadi pulite»). Quando escono fuori le minacce di Grillo circa gli «effetti collaterali abbastanza pesanti», in caso di vittoria pentastellata, Raggi spiega: «Grillo ha messo il dito nella piaga dei 60 mila dipendenti del comune, un esercito che andrà razionalizzato e reso efficiente, anche ricorrendo a ricollocazioni. Il Comune fornisce servizi, non stipendi. Sappiamo che potrebbe succedere che, come accaduto a Livorno, avremo i sindacati contro».

E il reddito di cittadinanza? «Il sindaco Nogarin lo ha concesso», dice la candidata citando la sperimentazione livornese: 300 famiglie senza reddito riceveranno 500 euro al mese per sei mesi. «Anche se finché non leggiamo i numeri del bilancio comunale sarà difficile dire come, quanto e quando riusciremo a farlo», riconosce Raggi, ostentando ancora una volta prudenza.