Mario Martone torna in tv con un nuovo film-opera, La Traviata (già riprogrammato su Rai 5 mercoledì 21 aprile). E con l’eroina di Dumas e di Verdi, alza ulteriormente il «tiro» di queste sue «riletture». Se nel Barbiere domina la dimensione giocosa rossiniana, attorno alla grande burla degli sciocchi che permette le nozze finali e felici tra i giovani innamorati, nel capolavoro verdiano il percorso al contrario corre verso la tragedia, con la morte di Violetta nel suo letto fulminato dalla tisi, oltre che dal fallito amore. Eppure questa lettura (e soprattutto ascolto) della drammaturgia musicale sul bel libretto di Piave, ci porta dentro come non avviene spesso, abituati da sempre a seguire la poveretta protagonista in una sorta di discesa agli inferi della santità, dopo aver molto «peccato», lei sola contro una moralità che neppure l’amore riesce a infrangere.

QUI LA REGIA DI MARTONE, facendo tesoro del puro spazio teatrale, e solo di alcuni suoi specifici elementi (il gigantesco lampadario che a quasi un secolo dalla sua sistemazione scende e sale, come lampada scialitica sul tavolo operatorio del bel mondo, e alcune quinte arboree che faranno cadere qualsiasi difesa interiore), riesce quasi a sgraffiare via la pelle al suddetto «bel mondo». Ne scrosta definitivamente difese e mascheramenti, mostrandone i valori fasulli e la vacuità di rapporti. Organizzando una partitura complessiva per lo spettatore, che senza pietà ce ne evoca lo stesso volto oggi. Molto felice si rivela la partnership con una coreografa alla prima esperienza comune (oltre alla virtuosa camera di Pasquale Mari). Michela Lucenti conferisce al carillon delle danze salottiere dei brividi corporei che quasi ci evocano i corpi danzanti di oggi. Così come Noi siam le zingarelle assume suggestioni oggi riferibili al sadomaso. Senza forzature, solo con la voglia di scrostare la polvere della retorica dalla cultura dell’eroismo risorgimentale. È una suggestione, ma che ci rimanda immediatamente al bellissimo lavoro che Martone porta avanti sulla scena lirica e teatrale, come in diversi suoi film, da Il giovane favoloso a Noi credevamo, fino all’epifania, di umanità e di valori, di Capri revolution.

ANCHE IN QUESTA Traviata dunque grande rispetto per il testo verdiano. Chiuso nel teatro vuoto, ma con poche fughe rivelatrici nella visuale del contemporaneo: il duello che dovrebbe essere risolutore tra Alfredo e il suo rivale, avviene all’aperto, in un scorcio inconfondibile delle Terme di Caracalla, ovvero la location estiva, «l’altra faccia», dell’Opera di Roma. E ancor più struggente il rapido flash sul corteo dei goderecci convitati in maschera, all’esterno laterale del Costanzi: una stradina scura, in fondo alla quale però scorre il traffico di via Nazionale, con la partecipazione straordinaria di un ansimante bus dell’Atac… Sono solo lampi, che ci richiamano però al presente, come la tisi allora incurabile di Violetta condivide oggi la sua crudeltà con una pandemia senza scampo. Immagini senza forzature né moralismi, anzi squarci di «spettacolo» piccoli ma significativi. Che ci inducono senza freni, per l’infelicità di quella antica «traviata», a una solidarietà, e una adesione e una commozione, davvero totali.