Già nei primi giorni del 2014, hanno cominciato a rinascere proteste nelle città brasiliane; questa volta tra gli altri temi c’è anche la questione razziale.
Alla fine dell’anno scorso a São Paulo, moltissimi adolescenti e giovani delle periferie di là hanno cominciato a riunirsi con gli amici per fare un giro negli shopping center, solo per divertirsi. Ma da quello che doveva essere un passatempo, è nato un grande dibattito nazionale sulla questione razziale, visto che gli shopping hanno deciso di chiudere le porte e proibire l’ingresso dei giovani delle periferie nei loro spazi.

A questo punto, adolescenti e giovani hanno cominciato a stabilire attraverso i social network gli appuntamenti per le successive passeggiate (i rolezinhos, così sono stati chiamati questi “giri” per gli shopping) in tutti gli shopping center del paese, in solidarietà ai giovani della periferia di São Paulo. A Rio de Janeiro, per esempio, è stato fissato un appuntamento, all’inizio di gennaio, di fronte allo shopping di Leblon, uno dei quartieri più cari e ricchi del mondo. Con sorpresa dei manifestanti, anche questo shopping ha chiuso le porte nel giorno stabilito per il rolezinho e – oltre a sbarrare le porte – ha anche rafforzato la sicurezza.
Quel giorno era chiaramente visibile il preconcetto che alcune delle famiglie di Leblon avevano nei confronti dei più poveri della città. Mentre noi giovani stavamo di fronte allo shopping protestando contro i pregiudizi che non ci permettevano di entrare nel locale, alcune persone uscivano dai loro palazzi e ci dicevano di rinunciare alle nostre passeggiate in aree che non sono destinate ai poveri. Gridavano dicendoci di studiare e andare a passeggiare nelle biblioteche per imparare qualcosa e diventare ben educati.

Allo stesso tempo, gli organizzatori dei rolezinhos hanno cominciato a ricevere multe di 5/10.000 e anche 40.000 reais per il loro tentativo di organizzare passeggiate all’interno degli shopping. Questo atteggiamento, i manifestanti e i movimenti negri lo considerano come espressione di un pregiudizio razziale, come vero e proprio razzismo, visto che l’idea è che i poveri (in buona parte neri) non devono entrare in certi spazi. I manifestanti hanno anche pronunciato la parola «apartheid», sottolinenando il fatto che il paese è completamente diviso tra ricchi e poveri e i poveri non possono neanche entrare negli shopping center per divertirsi.
Ancora nel mese di gennaio, c’è stato un altro annuncio sull’aumento dei biglietti dei mezzi pubblici, pubblicato dai giornali commerciali della città. Da allora si è cominciato a fissare altre manifestazioni nel centro di Rio de Janeiro. L’ultima è stata giovedi. Era la quinta manifestazione contro l’aumento dei biglietti (che dovrebbe scattare oggi).

C’erano circa 5000 persone. Io ero lì. La repressione è stata dura, la polizia era in assetto di guerra. Ci hanno circondato e hanno cominciato a picchiarci. Ci hanno tirato contro lacrimogeni, gas che paralizzano il respiro. Hanno colpito un operatore che stava riprendendo la scena, è stato preso in pieno da una bomba di queste che contengono gas, ha perso sangue. È ricoverato in ospedale, so che l’hanno operato, anche un’altra persona è stata ferita. Se volete vedere con i vostri occhi, questo è il video degli scontri di giovedi.

Al di là della minaccia dell’aumento del prezzo dei biglietti, resta il fatto che alcune favelas continuano a soffrire delle rimozioni forzate per lasciare spazio alle opere dei megaeventi. Altre sono sempre più militarizzate e sopportano l’oppressione dello Stato. Il numero di sparatorie nelle favelas è aumentato, molti poveri sono stati assassinati in queste prime settimane del 2014.
Oltre questi problemi razziali, di rimozioni e di numerose sparatorie nelle favelas, l’intera città di Rio de Janeiro ha sofferto per la frequente mancanza di luce e acqua, soprattutto nei quartieri più poveri. Su questo ci sono manifestazioni dovunque, abitanti delle favelas hanno bloccato le strade veloci a causa di questi problemi, in altre favelas sono state interrotte strade e viali per protestare contro le rimozioni e tutte quelle azioni, che si stanno moltiplicando, che puntano all’eliminazione forzata delle favelas stesse. Quasi tutti i giorni a Rio de Janeiro c’è stata una manifestazione in un luogo diverso della città, alcune stabilite dai movimenti sociali e altre da chi sta direttamente soffrendo per l’oppressione dello Stato.
Il 25 gennaio, l’avvocata Luisa Maranhão, nella sua macchina, stava attraversando il centro di Rio, quando è stata avvicinata da tre macchine e una moto. Luisa stava ascoltando una canzone. Una parte del testo diceva «Eduardo Paes è un bandito». Ma il problema non è il testo della canzone, visto che esiste in Brasile la piena libertà di espressione. Il fatto è che proprio il sindaco Eduardo Paes di cui parla la canzone è sceso dalla sua macchina e ha abbordato l’avvocata chiedendole chi la pagasse per ascoltare quella musica. Il sindaco era accompagnato da tre macchine e una moto – erano la sua scorta – quando dal finestrino ha ordinato che l’avvocata (in macchina con la sorella) fermasse la sua auto. Lei non si è fermata, ma il sindaco ha detto: «dobbiamo parlare». Quando Luisa ha fermato l’auto, Paes ha chiesto a lei e alla sorella: «Chi vi ha pagato per mettere questa musica?»
«Mi sono spaventata – racconta Luisa – ho protestato anche con lui come sindaco, rivendicando il mio diritto di libera cittadina di poter esprimermi anche con una critica in musica sulla sua gestione e quella del governatore, che appartengono allo stesso gruppo politico». Durante il colloquio, Luisa critica «le rimozioni nelle favelas e il fatto che il popolo non viene consultato e non ha voce in capitolo mentre sta perdendo le case a causa delle opere dei megaeventi; l’uso della forza contro i venditori ambulanti da parte della Guardia Municipale, così come l’uso di armi non letali; l’uso della violenza e le detenzioni di manifestanti, studenti, professori che lottano per una educazione migliore, per la sanità, i trasporti, le case e la dignità nella nostra città e nel nostro paese. La cosa sconvolgente – aggiunge – è che il sindaco in persona ha fermato la mia macchina per cercare di impedirmi di ascoltare una canzone. La considero una mancanza di rispetto, sono una cittadina e devo avere la più assoluta liberà di ascoltare il tipo di musica che voglio».

(Traduzione di Serena Romagnoli)

Ecco la musica incriminata: