Senza tagli aggiuntivi “le conseguenze saranno spiacevoli” ha ammonito il Presidente della Commissione Europea Juncker. Traduzione: nuovi tagli a marzo. Per tale ragione Matteo Renzi ha mirato ad un solo risultato nel suo semestre di presidenza UE: il rinvio del giudizio sulla Legge di Stabilità. Renzi potrà votare in primavera senza fare la manovra aggiuntiva che la Cancelliera Merkel chiede. Si presenterà agli italiani come l’attore che ha interpretato il personaggio dell’ alfiere della crescita. «…. senza flessibilità diventiamo dei ragionieri.. l’unità delle due Germanie non sarebbe stata possibile senza flessibilità» tuonava ancora il premier italiano il primo dicembre.

Negli ultimi sei mesi il copione del film è stato il seguente: il Presidente del Consiglio protesta contro l’austerità a Roma, ma, quando va a Bruxelles non ottiene nulla. Renzi, da un lato, chiede investimenti, dall’altro assicura che l’Italia rispetterà le regole del Fiscal Compact.
L’aporia è alla radice: l’Italia non può investire se rispetta il Fiscal Compact. Al contrario, se rispettiamo il Fiscal Compact, affondiamo nella recessione. Quattro nodi incrociano la dialettica rigore-crescita: la manovra aggiuntiva che Bruxelles imporrà; la necessità di violare il Fiscal Compact come fa la Francia dal 2008; l’inconsistenza del piano Juncker; lo scarso impegno del Governo nello spendere i 100 miliardi UE assegnati all’Italia. Andiamo per ordine.

Quando il presidente della Commissione Juncker minaccia tagli applica il Trattato di Funzionamento dell’Unione europea (Tfue). Il suo articolo 126 definisce eccessivo il disavanzo pubblico se: 1) il rapporto tra Deficit e Pil sfora il 3%; 2) il rapporto Debito/Pil supera il 60%; 3) il deficit strutturale di bilancio supera lo 0,5 del Pil. Purtroppo per non sforare questo terzo parametro nel 2015 sarebbe necessario un avanzo strutturale di 1,2 punti di Pil nel 2014 e di 2,5 punti nel 2015.

Quale è la flessibilità possibile? Il superamento del 3% è concesso se è eccezionale e temporaneo, oppure se è causato da una grave recessione economica. Ma la recessione è uguale per tutti? No. Bruxelles consente a Madrid e Parigi di sforare mentre noi, ormai in stagnazione, ci impicchiamo al 3%. Il 28 novembre in conferenza stampa il Commissario Ue Moscovici ha fornito dati importanti: la Spagna sforerà il rapporto Deficit/Pil al 5,8 % nel 2014, al 4,2% nel 2015. La Francia arriverà al 4,5% nel 2014 e sforerà anche nel 2015. Confrontiamo i dati Eurostat dal 2008 sul rapporto Deficit/Pil di Roma e Parigi: nel 2013 l’Italia sta al 3%, la Francia sfora al 4,3%; nel 2012 noi ci impicchiamo sempre al 3%, la Francia sfora al 4,9%; nel 2011 noi siamo al 3,9% ma la Francia arriva al 5,2%; nel 2010 noi arriviamo al 4,6% ma Parigi ci surclassa al 7%; nel 2009 Roma sfora al 5,5% e Parigi sfonda al 7,5%; nel 2008 noi stiamo al 2,7%, la Francia comunque sfora al 3,3%. Bruxelles ha sanzionato la Francia? In nessun modo. I rigoristi obietteranno che la Francia è sotto procedura di infrazione, noi no.

Il punto non è l’apertura della procedura di infrazione, bensì la sua conclusione. Poiché la Commissione Europea non ha comminato sanzioni alla Francia per la violazione del 3% dal 2008, non potrebbe sanzionare l’Italia.

Il Presidente della Commissione Europea Juncker ha proposto il suo nebuloso piano da 300 miliardi di investimenti. Partirebbe con un Fondo Europeo per gli Investimenti Strategici (EFSI) di 21 miliardi di euro: 5 di denaro vero della Bei, la Banca Europea degli Investimenti, 16 tra liquidità dell’attuale bilancio UE e garanzie. Successivamente la BEI concederebbe prestiti pari a tre volte il capitale iniziale: tali prestiti dovrebbero coinvolgere investitori privati con un ulteriore effetto moltiplicatore pari a cinque. E così si arriverebbe all’importo di 315 miliardi per i 28 Stati UE (con un moltiplicatore pari a 15).

Una Task Force europea valuterà i progetti da finanziare. E qui il problema: un investitore straniero, puntando alla redditività, sceglierebbe di investire su una infrastruttura in Baviera e non in regione Calabria.
Ultima questione importante: perchè chiedere prestiti nel piano Juncker quando abbiamo 100 miliardi dei nostri programmi UE? Includendo il cofinanziamento nazionale vediamo gli importi dei programmi cofinanziati dai tre fondi europei (Fse-Fesr-Feasr): 80 miliardi del ciclo 2014-2020); al 31 ottobre 2014, 22,4 miliardi residui del ciclo 2007-2013: devono essere spesi entro il 2015 altrimenti la Cancelliera Merkel si riprende i nostri 14 miliardi di contributo europeo e ci finanzia il Piano Juncker
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Per battere Renzi sul Jobs Act la Segretaria Cgil Camusso e il Segretario Uil Barbagallo dovrebbero tornare a Giuseppe Di Vittorio: un piano per lo sviluppo che crei lavoro vero spendendo bene i fondi Ue.
Esperto dei Fondi Ue