«Sarò il primo ministro di tutti, le differenze culturali rappresentano una delle ricchezze del Canada». Già le prime parole pronunciate dal vincitore, il leader del Partito liberale, Justin Trudeau, appena i dati sono cominciati ad affluire nella notte di lunedi, hanno indicato il carattere storico di queste elezioni.

Dopo un decennio di egemonia conservatrice, impersonata dai quattro mandati consecutivi di Stephen Harper, capofila della destra locale che avevano fatto del paese un paradiso per le multinazionali dell’energia e dell’inquinamento e una ridotta del pensiero neoliberista, e al termine di una campagna elettorale dominata dall’allarme immigrazione e da una velenosa polemica sul niqab, il velo islamico, i canadesi hanno voltato pagina. Mentre Trudeau annunciava la sua vittoria da un hotel di Montréal, Harper riconosceva la sconfitta dal suo feudo di Calgary, nell’ovest del paese, spiegando di voler dare le dimissioni anche dalla guida del Partito conservatore.

Per il primo, i consensi sono arrivati soprattutto dalle regioni del nord, comprese le circoscrizioni geograficamente più estreme come quella di Terra Nuova, oltre che dalla vasta area urbana della metropoli del Québec, mentre per il secondo si sono espressi soprattutto i canadesi che vivono nelle zone di confine con gli Stati uniti.

Se le stime della vigilia parlavano di un testa a testa tra i due maggiori partiti, in realtà i liberali hanno staccato i loro rivali di circa un milione e mezzo di voti, attestandosi oltre il 39% dei consensi, contro il 31% dei conservatori, Nel nuovo parlamento Trudeau potrà così contare su più di 180 deputati contro i 90 del movimento di Harper, mentre il Nuovo partito democratico, di centrosinistra, di Thomas Mulcair, l’altro grande sconfitto del voto, si è fermato sulla soglia dei 40 eletti. Segue la pattuglia dei 10 indipendentisti francofoni del Bloc Québécois, in crescita, e il solitario rappresentante dei Verdi.

Proporzioni che indicano come un cambiamento nella politica del paese sia ora possibile, come del resto si è augurato lo stesso Trudeau che si appresta ora a formare il nuovo esecutivo. «I canadesi hanno mandato un messaggio chiaro: vogliono che il paese cambi. Vogliono che la paura lasci il posto alla speranza, che il cinismo sia rimpiazzato dal lavoro concreto. E’ tempo che si applichi una politica positiva che porti sviluppo e non sacrifici», ha spiegato il leader liberale facendo riferimento ai tagli sociali e all’annuncio di crisi economica, ma anche al clima di assedio che ha caratterizzato l’amministrazione Harper specie nel corso dell’ultimo anno, vale a dire dopo gli attentatti jihadisti che hanno colpito il paese.

Figlio d’arte, suo padre è Pierre Trudeau, una delle figure centrali della politica e della società canadesi degli anni Settanta e Ottanta, a lungo primo ministro e noto per la sua amicizia con personaggi del calibro di Andy Warhol, Truman Capote, Mick Jagger e Leonard Cohen, a 43 anni di età Justin Trudeau si appresta a diventare uno dei leader più giovani del mondo occidentale.

Dopo aver plasmato negli ultimi anni il nuovo profilo del Partito liberale, che i commentatori canadesi presentano ormai come una forza di centrosinistra, questo ex insegnante di matematica e francese a Vancouver, è riuscito nell’impresa, a lungo considerata pressoché impossibile, di detronizzare Harper.

La vera sfida inizia però adesso.

Davanti a sé, il nuovo premier ha un paese dall’economia indebolita, dove sono cresciute le disparità sociali e quelle tra le metropoli e le aree rurali, i rischi per l’ambiente naturale e dove la convivenza e la tradizionale attitudine multiculturale sono stati messi in discussione da una lunga predicazione all’insegna della paura e della denuncia del diverso. «Siamo dei sognatori e degli innovatori, sapremo ricostruire questo paese», la risposta di Trudeau al difficile compito che lo attende.