La crisi di governo aggiunge incertezza in una fase in cui sempre più persone non vedono l’ora che tutto torni come prima. E rende ancora più pressante un interrogativo: sarà possibile un ritorno al come eravamo o, al contrario, non dobbiamo cominciare a considerare la pandemia come uno stress test al quale siamo stati sottoposti per accelerare un processo che stentavamo ad avviare? Quindi non una parentesi che si chiude, ma un continuum, una evoluzione che proietterà nel futuro tanti cambiamenti che stiamo già vivendo.

Alcuni contorni di quanto potrà accadere si possono intravedere. E, per chi agisce nella sfera politica e sociale, è un dovere focalizzarli in tempo per poter agire con tempestività. Mi riferisco, per il momento, a due aspetti: la strutturazione del corpo sociale e il suo rapporto col territorio.

1. La società si sta ulteriormente disarticolando e la «colonna marciante» si sta allungando: alcuni settori e soggetti hanno accelerato il loro cammino (digitale, chimico, meccanica strumentale…), altri hanno potuto mantenere posizioni e sicurezze lavorative e retributive (alcuni per la specificità del loro status, altri per le politiche pubbliche di sostegno), altri, invece, sono stati spinti indietro da lockdown e crollo di consumi e mercati. Insomma la distanza tra primi e ultimi sta aumentando e, soprattutto, i gruppi interni alla colonna sociale si stanno scomponendo, mischiando, atomizzando. Gli effetti di questo grande rimescolamento sociale non si colgono ancora, ma man mano che ci si sveglierà da questa lunga sonnolenza pandemica, si prenderà coscienza di un nuovo status. E cominciando a guardare fuori, davanti a sé e al futuro, tante persone potranno sentirsi sole, disarmate e sperdute.

2. La rivoluzione digitale che pensavamo prima di poter gestire gradualmente, con la pandemia si è imposta con una velocità ed estensione impensabili. Ha invaso la sfera pubblica e lavorativa, quella educativa, quella individuale e sociale, ha toccato tutte le generazioni e le aree del paese. E ha sconvolto assetti urbani e insediamenti umani, svuotato centri urbani, ripopolato aree residenziali, stravolto reti di trasporto e flussi di mobilità. Certo qui ci sarà un ritorno al come prima. Ma in quale misura, in che tempi e dove?

Dovremo seguire con attenzione quanto accadrà perché qui siamo di fronte a fattori fortemente interdipendenti e anche piccoli fenomeni possono a catena produrre effetti diffusi. Basti pensare al solo smart working: se esso si confermerà, anche in dimensioni limitate e localizzate, trascinerà con sé una quantità rilevante di effetti (valori immobiliari, tempo libero, mobilità privata e pubblica, servizi nel territorio, terziario di consumo…). E anche in questo caso, quando riprenderemo a vivere, ci renderemo conto degli sconvolgimenti socio-economici e territoriali che il passaggio pandemico ha prodotto. Problemi e paure che si aggiungono e che si pongono e impongono davanti alla crisi di governo e alla politica.

Anche la sfera politica è stata toccata dalla rivoluzione digitale. Grazie alle chat di WhatsApp, ai social, all’uso delle piattaforme di discussione che sono fiorite in pochi giorni, non solo si è attenuato il peso dei lockdown, ma si sono sviluppate forme nuove di socializzazione e partecipazione. Forme di democrazia nuove, mentre quelle tradizionali in sedi istituzionali, di associazioni e di partiti sono state sospese. Alcune potranno riprendere, altre non si sa, visto che già versavano in condizioni comatose.

Ebbene le prospettive incerte e pericolose cui abbiamo accennato impongono alla politica di non lasciare sole le persone nei momenti difficili della nuova transizione che avanza. Che fare allora? Poco tempo fa Luciana Castellina parlando dello sradicamento della sinistra dalla realtà dei territori ha ricordato l’intuizione marxiana dell’inchiesta operaia, ripresa nel ’68 dai Quaderni rossi, per conoscere la realtà che si vorrebbe cambiare e rendere i soggetti consapevoli del loro stato. I 100 anni del Pci, al di là di errori e tragedie, ci hanno ricordato il grande valore della presenza di sedi fisiche nei territori, cancellate, insieme alla memoria, dal Pd.

Ebbene si può affrontare la fase che abbiamo davanti senza una rinnovata relazione col popolo, col territorio, con le periferie? Penso che il salto tecnologico in atto ci permette di pensare oggi a nuovi insediamenti e strumenti, fisici e virtuali insieme alla formazione di una nuova generazione politica adeguata a questi tempi e dotata di strumenti nuovi.

E poiché Landini ha lanciato l’idea del sindacato di strada credo si debba pensare ad una fase coordinata e cooperativa di reinsediamento nei territori per affrontare insieme, in una nuova ondata di solidarismo sociale, la grande mutazione. Se allarghiamo lo sguardo anche alle nuove reti di ricerca e azione politica come Disuguaglianze e Diversità di Fabrizio Barca o RomaRicercaRoma di Walter Tocci oltre che alla vasta realtà di movimenti nel tessuto sociale e nei luoghi del disagio si possono cogliere enormi potenzialità per affrontare il futuro postpandemico.

Siccome non penso ci possa essere il grande partito o il grande leader che mette insieme il tutto, speriamo che ciascuno riesca a sentirsi parte di un progetto collettivo e, soprattutto, che una nuova generazione colga la straordinaria occasione che ha davanti. L’anno zero della nuova fase storica sta nelle loro mani, e in uno scenario politico in cui il vecchio cerca con prepotenza di riemergere c’è solo da sperare che una rivoluzione silenziosa stia incubando e rompa il guscio al più presto.