«È il nostro 11 settembre, hanno colpito laddove tutto è cominciato». È una giornata terribile per Vincino, al secolo Vincenzo Gallo, uno dei padri della satira vignettistica italiana, tra le colonne portanti, insieme ad Andrea Pazienza, Vauro o Riccardo Mannelli, tanto per citarne alcuni, delle storiche riviste satiriche italiane, da Il Male a Il Clandestino fino a Boxer, che fu un supplemento del manifesto.

Sono morti tutti: il direttore di Charlie Hebdo, Charb, Georges Wolinski, Cabu, Tignous… Per te che li hai conosciuti cosa hanno rappresentato?

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Da giovanissimo studente di architettura di Palermo, ancora indeciso sul voler diventare un disegnatore o un architetto, un giorno lessi Charlie Hebdo, conobbi Reiser, Wolinski, Willem (Holtrop, ndr)… e fu lì che decisi. Quando in Italia i vignettisti parlavano solo di politica e in modo antico, bloccati anche graficamente nelle caricature dei personaggi, nelle piccole storie di palazzo, Wolinski, che era il più poetico di tutti, ci dava lezioni di libertà raccontando il sesso, l’amore, la politica, la vita…in un racconto globale e complessivo. E a 80 anni era ancora là, in riunione di redazione…Lui e Cabù, che era preciso e duro, erano i miei maestri. Ma tutti e quattro erano poeti e pensatori, l’Europa perde tantissimo… Quando iniziammo a fare Il Male ci ispirammo a loro, al modo di fare satira del Charlie Hebdo. All’inizio degli anni ’80, con l’assessore alla Cultura di Roma, Renato Nicolini, organizzammo una specie di festival della satira con Wolinski, Willem e Resec. Erano dei precursori perfino nel loro Paese, dove comunque la cultura del racconto disegnato è molto avanzata. Basti pensare a Henri de Toulouse-Lautrec che disegnava su giornali di satira già alla fine dell’Ottocento. Non a caso in Francia ci sono almeno quattro riviste satiriche con una grande diffusione: Le Canard enchaîné, Charlie Hebdo, Siné mensuel e L’echo des savanes. Da noi, invece, ormai è rimasto ormai molto poco.

Il Charlie Hebdo era già stato preso di mira dall’integralismo islamico: minacce, hackeraggi, un attentato con molotov… Non avevamo paura?

No, perché non fai questo mestiere con la paura. Io ho più paura della denuncia di un politico. Certo, pensavo che la loro redazione fosse un po’ più sicura, e forse abbiamo sbagliato a sottovalutare la violenza dell’attacco per le vignette islamiche danesi. Però, seppure feriti gravemente, non siamo e non saremo mai domati. Assolutamente.

Però nel 2007 molti criticarono le 12 vignette su Maometto pubblicate dal giornale danese Jyllands Posten. Anche in Italia, anche Vauro, tuo amico, allora vignettista del manifesto… E Charlie Hebdo più volte è stato accusato di razzismo, di islamofobia… Non c’è stato un accanimento particolare contro l’islam?

No, la grande satira di Charlie Hebdo, come la nostra, quella dei grandi autori italiani con cui ho lavorato, è irriducibile con la religione. E dà fastidio a tutte le fedi. Perché è un racconto di verità, che rompe ogni tabù. A chi dice “questo è un dogma” risponde “vaffanculo”; a chi dice “Maometto non si può disegnare” risponde disegnandolo dieci volte e nei modi più truci. L’unica differenza è che i cristiani hanno smesso di mettere al rogo i poeti maledetti, gli islamisti radicali ancora lo fanno. Allora, nel 2007, Vauro sbagliava. Ma credo che oggi sarebbe d’accordo con me. Stiamo parlando di un giornale, il Charlie, che da sempre è un campione della libertà totale. Ed è stato il più irriducibile di tutti, rispetto alle religioni. D’altronde, chi crede nella satira come me ha l’idea di un’Europa che dice: sono contrario a tutto ciò che pensi ma darei la vita perché tu possa esprimerti. E questo – Voltaire – è antagonista alle religioni. E ancor più agli islamisti.

Ora cambierà qualcosa nel mondo della satira?

Tutto e nulla. Siamo feriti ma continueremo ad essere irriducibili. Non hanno ucciso nessuno, perché la satira non si ferma, non è addomesticabile e continuerà ad esistere. Perché è l’unica arte che oggi difende il pensiero illuminista.