Nel grande spazio davanti al ministero della Comunicazione, a Caracas, il deputato Jesus Faria, membro della direzione nazionale del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) sta tenendo una conferenza. Intorno, adulti e bambini dipingono un grande striscione, un gruppo musicale si prepara a suonare la canzoncina «Nicolas, Nicolas» che si burla dell’«ossessione di Capriles» per il suo avversario chavista, di cui ripete il nome come un cagnolino da cruscotto, dice la canzone. Dopo aver dato ascolto alla fila di militanti che vogliono discutere o farsi fotografare con lui, Faria – responsabile della scuola quadri del partito – accetta di rispondere alle nostre domande.

Il Psuv si è costituito nel 2007 per volontà del presidente Hugo Chávez, che ha messo insieme varie formazioni. Come si configura oggi e qual è il suo compito?

All’inizio abbiamo aperto la porta alla convergenza di diversi gruppi politici che avevano la loro specifica visione e formazione. Poi, al termine di un lungo congresso, abbiamo approvato uno statuto e un programma su chiari principi socialisti, anticapitalisti, antimperialisti. Il nostro statuto è basato sul socialismo scientifico, riflette uno spirito bolscevico che si nutre di tutte le esperienza di lotta indipendentista, delle grandi figure latinoamericane, del bolivarismo, del cristianesimo originario. Non siamo un partito multiclassista animato da correnti distinte, o una macchina elettorale in stile borghese votata alla socialdemocrazia e senza struttura organica. La lotta di classe ne è il grande motore. La discussione tra partito di quadri e di massa, la ritengo però un falso problema. Non stiamo agendo in clandestinità, abbiamo milioni di iscritti e definiamo le linee di un nuovo progetto di paese, siamo un grande partito rivoluzionario di massa che ha migliaia di quadri. Pensiamo che per avanzare verso il socialismo occorra costruire una economia diretta e pianificata dal popolo cosciente. E su questo c’è ancora molto da fare. Questo è uno dei principali compiti che abbiamo di fronte ora, organizzare e dirigere il potere popolare, a partire dai consigli comunali, dalle comuni.

Qual è il soggetto politico, il blocco sociale che anima il «proceso» bolivariano?

Gli operai, i lavoratori, intesi come salariati, le classi popolari, i militari progressisti e rivoluzionari. Gli operai sono numerosi, ma sono divisi e non ancora abbastanza coscienti, non sono egemoni, non sono pronti a assumere la direzione diretta nella produzione e di questa rivoluzione. Il compito del partito è quello di unire e formare, non in senso scolastico, ma nella pratica, stimolare una visione che vada oltre il piano rivendicativo, che mostri orizzonti e sogni a partire dai grandi temi. Per troppi anni, i sindacati sono stati dominati dalle politiche riformiste e socialdemocratiche, ora la maggioranza dei sindacati sta con la rivoluzione, ma bisogna superare i particolarismi. Quello della direzione economica è un tema complesso in un paese ancora capitalista che non ha cacciato la borghesia.

Voi definite quella attuale una fase di transizione al socialismo. Come pensate di procedere se vince Maduro, accelerando il percorso o mettendo l’accento sulla «conciliazione nazionale» come vorrebbero le aree più moderate?

La controrivoluzione fa il suo mestiere, ma se non avanza, il socialismo è perduto. Lo abbiamo capito dopo il golpe del 2002. Ora ci troviamo di fronte a una congiuntura politica molto favorevole. Abbiamo un grande consenso, le classi popolari, che costituiscono la maggioranza nel paese, appoggiano e partecipano al proceso. Il 7 ottobre abbiamo vinto con largo margine, ottenendo in parlamento un’ampia maggioranza, il 16 dicembre abbiamo conquistato 20 su 23 stati in cui si votava. Una risposta alle politiche sociali attuate in questi anni, che hanno creato lavoro, istruzione, cultura politica e danno sicurezza alla popolazione. Sul piano continentale, abbiamo dato impulso a forti relazioni solidali. A giugno il Venezuela assumerà per sei mesi la presidenza pro tempore di Unasur. La genialità del presidente Chávez, manca, ma in 14 anni ci ha preparato a camminare da soli.

Abbiamo presente gli errori e le deviazioni compiute dai partiti comunisti del secolo scorso, la perdita dei paesi socialisti e quella dei grandi partiti comunisti europei è una tragedia, ma anche per questo dobbiamo costruire una direzione avvertita, capace di dosare il pedale cercando di evitare grossi contraccolpi, ma anche di contendere gli spazi al nemico fino all’ultimo respiro. Per contrastare l’egemonia della rivoluzione, questa destra cerca di appropriarsi delle nostre bandiere, per fomentare disfattismo e confusione. Siamo convinti che domenica non vincerà, anche con tutto l’appoggio degli Usa, ma se questo avvenisse, riconosceremmo i risultati.