Pubblicato 10 anni faEdizione del 9 novembre 2013
Sembra di sentire una certa furia bellicosa nei film di Vincenzo Marra, un pedinamento della realtà senza sconti, un duello con la realtà del territorio napoletano ormai talmente assorbita dal pubblico sotto forma di immagini, casi filtrati dalla cronaca, sceneggiati, film «d’autore», documentari da renderla materia quasi intoccabile. Accanto alla sua personale al Maxxi, «L’amministratore» che ha appena inaugurato il Festival del Film di Roma (e si potrà vedere al cinema Barberini domenica 10 alle ore 14.30), prodotto da Arcopinto, percorre una strada anomala: lo spettatore, testimone rispettoso, arriva fino alla soglia o a volte nel soggiorno di appartamenti in quartieri diversi, e coglie atmosfere di vita di personaggi differenti. Anche qui, è inevitabile, si tratta di una Napoli della crisi. L’inferno che potremmo attraversare è reso meno accidentato e colmo di sorprese per mezzo di un «Virgilio» inconsueto, un amministratore di diversi condomini, l’avvocato Umberto Montella che si occupa dei più diversi problemi dal ponte di comando del suo studio e recandosi personalmente sul posto. Non assistiamo, come ci si aspetterebbe, solo a una serie di problemi, né al cupo dissolvimento di una società in crisi da sempre, ma a una specie di giostra, di festa dell’umanità, in cui si vede scorrere perfino il passare dei secoli sotto forma di modi di fare e di dire stratificati nel linguaggio, nel gioco delle parti. I rituali di una educazione antica, i sottintesi sociali e come rapportarsi con le persone di diverso rango, le case arrangiate e quelle decadute. Forse la scena più impressionante è la visita nel palazzo un tempo parte di un cospicuo patrimonio ed ora in rovina per divisioni e liti familiari, dove i mancati lavori di manutenzione stanno facendo cadere a pezzi i muri, i quadri antichi sono assaliti dall’umidità e i mobili sono spostati dove non piove. Il fratello che ha perso tutto, mantiene coscienza del suo rango, ma anche quello sta per diventare evanescente, a stento contenuto nel negozietto che si è ricavato. L’amministratore dichiara come fosse una massima scolpita sulle tavole delle leggi: «il condominio non guarda in faccia nessuno» e poi la sua stessa vita è l’esatto contrario, pronto a comporre i litigi, trovare soluzioni, sapere come «trattare», entrare nella confidenza della gente creando quel tessuto di umanità che ancora sopravvive nel sud. Senza ipocrisie, ci sembra, e senza condanne: anche l’amministratore ha avuto i suoi guai, con la malattia che non lo certo abbattuto, anzi procede pieno di energia, proprio come il film. Quale è il segreto di Marra? Con questa visione così radicata? «I miei film hanno avuto tutti un destino internazionale, dice, più di tanti altri con grandi attori, ma poco esportabili. Fin dall’inizio con «Tornando a Casa», fatto con una barca e pescatori che parlano il procidese è stato in quaranta paesi, in 18 premi internazionali, così per «Vento di terra» ho avuto il premio per il film più presente nei festival internazionali. Ho girato tutto il mondo e a Napoli vivo solo alcuni mesi all’anno». Si sente nei tuoi film una forza impressionante nell’entrare nelle storie: «È la terra mia e mi butto a capofitto per raccontare delle storie. C’è dentro un atto d’amore, dice, e questo dà un risultato incredibile. È tutto vero, è come fermare il tempo, ècome rubare un pezzo di realtà. È qualcosa di scioccante anche per me perché questo è il quinto film ed evidentemente c’è una capacità molto strana che anche io ho difficoltà a spiegarla quando me la chiedono. È anche una lotta contro la stanchezza, sono tredici, quattordici ore con la telecamera per due settimane. Dopo ti trema il corpo, le gambe. Entri in un posto e sai cosa succederà, capisci che succederà qualcosa e devi cercare di riprenderlo bene e non potrai far rifare la scena. Entro accanto al protagonista e guardo negli occhi interlocutori che non ho mai visto prima e nello scambio di sguardi si crea un’intesa. Per non parlare poi della difficoltà di girare a Napoli in mezzo al traffico con la gente che ti ferma e ti vuol parlare. È una follia». Piuttosto è la magia di cui parlano gli sportivi che, raggiunto un certo grado di abilità perfetta, lasciano che accada il miracolo del colpo perfetto o dell’Ironman dove si può raggiungere lo stato di grazia. «In quindici anni di lavoro, i cinque capitoli sono stati tutti realizzati nello stesso modo, i pescatori, il carcerato, il giudice, i politici, l’amministratore. Vengono fuori cose incredibili, tanto che il direttore del festival di Toronto che ha invitato «L’udienza è aperta» ha voluto che firmassi una dichiarazione che tutto quello che avevo filmato era vero. L’idea di ripartire da storie di casa che hanno un potenziale internazionale straordinario finora mi è sempre riuscito più che certi film italiani dalla problematica universale in cui nessuno si identifica. Qui, a considerare le proiezioni che abbiamo fatto dell’«Amministratore»con tutte le beghe italiane, parli di cose che sono dette in napoletano ma appartengono a tutti. La gente vede la verità della situazione, puoi ridere, piangere, c’è la lotta per la sopravvivenza, la meschinità, la rabbia, la piccolezza del genere umano. Però poi ti fa ridere. C’era Monicelli che diceva sempre: Tu devi fare commedie, Marra». Anche nel «Gemello» ci sono situazioni di questo tipo, con i suoi personaggi straordinari, straziante e comico contemporaneamente: «È un film che dopo un anno e due mesi di vita continua ad essere invitato spesso in Italia e all’estero, abbiamo fatto un accordo con Antigone sui diritti del carcere, continua ad avere una grande visibilità, nel suo genere - non stiamo parlando di Checco Zalone - la gente si angoscia molto nel vederlo, è partecipe. Lo facciamo vedere soprattutto nelle scuole. Sono tutti film che ritrovi ancora oggi sulle pagine dei giornali, le bombe allo stadio, il disastro ambientale (sono uscite l’altro giorno le dichiarazioni di Schiavone), il problema delle carceri, la malagiustizia, l’Imu eccetera. In questi quindici anni i temi sono tutti aperti, non c’è la soluzione di tante cose. Una situazione lucidamente immobile. Invece io che vedo l’Italia spesso dall’altra parte del mondo, mi accorgo che gli altri galoppano, paesi nuovi che si muovono. La speranza passa dallo stimolo che sapremo dare ai giovani, e poi preoccuparci di questo paese in modo diverso da come ce ne siamo occupati finora. E poi la memoria, motivo per cui faccio questi film: il tentativo, la speranza, la forza, il sogno e qualcosa collegata con la memoria, su quello che è un paese, su cosa rimane di un paese».