«Voglio subito mettere in guardia dal coro della galline pavloviane, politici e politologi, che accreditano che ha vinto il governo. Una tesi risibile, goffa e propagandistica che cancella il primo clamoroso dato del voto: la crescita travolgente della fuga dalla politica. In una metropoli ad alta intensità di partecipazione, com’è Roma, un astensionismo al 50% deve indurre saggezza nelle analisi e nei giudizi».

Vendola, ce l’ha con il premier Letta, per il quale il voto delle amministrative premia le larghe intese?, o con un commento simile di Epifani? 

Quindi invece del ballottaggio potremmo far nascere un governo Marino-Alemanno? Se si segue il ragionamento di Letta dovremmo concludere così. Marino è contro le larghe intese, uno spirito libero, un uomo che ha portato nella contesa della capitale i diritti, la laicità, liberando il centrosinistra dalla sindrome d’OltreTevere. E lo stop al consumo di suolo e all’espansione irresponsabile. In evidente discontinuità con il centrosinistra che non disdegna i palazzinari.

Il centrosinistra è avanti in tutte le città. Ma, dice, ci vuole anche discontinuità con il vecchio centrosinistra, di fatto sconfitto dal voto di febbraio?

Un centrosinistra che non si maschera, che non occulta le ragioni della propria alternatività alla destra e non affoga nel moderatismo, torna a vincere. Quando usa un vocabolario forte e comprensibile – diritti di libertà, beni comuni e civiltà del lavoro – anima una speranza.

Se non è vero che hanno vinto le larghe intese, vuol dire che il voto avrà una conseguenza sul governo?

No, non c’è nessuna relazione. Il voto rende più inquieti i sonni di Berlusconi, nel senso che rischia di crollare tutta l’impalcatura politico-mediatica con cui si è oscurato il fatto che alle politiche il Pdl non era stato, il vincente, ma il miglior perdente. La sorte del governo Letta è legata alla efficacia delle risposte alla crisi sociale.

Gianni Cuperlo sul manifesto ha parlato di un ’nuovo centrosinistra’. E Goffredo Bettini, fondatore del Pd, parla di un nuovo ’campo’ del centrosinistra. Ma Pd e Sel sono uno al governo e l’altra all’opposizione, in parlamento. Quali possono essere i primi passi per riaprire il dialogo, in parlamento, visto che nelle città siete insieme e avanti ovunque?

Propongo qui e ora la costruzione di una piattaforma politica. Altrimenti finisce che noi facciamo la ricerca teorica sulla sinistra che verrà, e invece nell’attualità c’è il suicidio permanente del nostro campo. Propongo di individuare alcuni nodi per sviluppare una battaglia. Il primo? Il taglio degli F35.

Lo propose Bersani a febbraio, in qualche misura.

Infatti. Propongo di sottrarsi a una vicenda che puzza di corruzione di lontano, un business irragionevole per tanti governi occidentali e persino pezzi degli stati maggiori degli eserciti. Suggerisco poi anche una riflessione pacata su quello che è avvenuto a Bologna con il referendum sui finanziamenti alle scuole materne parificate. In fondo la battaglia della buona politica, quella dei comitati, quella dei movimenti, del civismo, dei cittadini che per ’issues’ organizzano una trama d’impegno, ruota attorno non a un istinto sovversivo o una pulsione antagonista, ma alla difesa della Costituzione: articoli 1, 3, 11, 33.

Sta proponendo al Pd di praticare alle camere una maggioranza alternativa alle larghe intese con il Pdl?

Sto dicendo che dobbiamo affrontare la crisi mettendo in gioco tutta la catena delle subalternità culturali che hanno visto una sequela di capitomboli da parte del centrosinistra. Le ragioni della sinistra non sono un indebolimento della lotta della sinistra. Non si vince giocando a nascondino. Ma dico una cosa anche alla mia sinistra.

Cosa?

La partita è aperta, le contraddizioni nel Pd sono gigantesche. E sono le stesse che attraversano il campo progressista in tutta Europa e chiedono di mettere a tema gli effetti del paradigma neoliberale sulla vita delle persone e delle società. E allora, dico, attenzione: il centrosinistra non è un destino né una prigione. Può essere un’invenzione, a partire però dal saper trarre insegnamento dalle lezioni della realtà. Anzi dalle elezioni della realtà. Non capisco che significa congedarsi da questo campo, certo ingombro di macerie, immaginando un altrove fatto di retorica trascendentale, come quella sulla categoria di ’rivolta’, immaginando che, fiore dopo fiore, troveremo il giardino della sinistra nuova. I tentativi in corso sono tutti insignificanti, ed è curioso che chi battezza quei tentativi, di fronte al naufragio, sappia diagnosticare solo i mali degli altri.

Con chi ce l’ha, di preciso, fra le diverse voci della sinistra?

Con quelli che non sbagliano mai. Abbiamo una pletora di maestri in cattedra, e invece avremmo bisogno tutti di un po’ più di umiltà. Io non mitizzo il nuovo centrosinistra. E spero in una connessione forte con i movimenti sociali perché vorrei che da lì nascesse la rigenerazione dell’idea di alternativa.

Il ’flop’ di Grillo apre nuovi scenari per la sinistra?

Grillo è vittima di se stesso. Il suo copione è di una fissità che sfiora la paralisi. Non si pone mai il tema dell’efficacia dell’azione politica. Si pone il tema del rimbombo della sua voce. Ma ormai resta solo quello. La piazza di cui racconta le pene, con grande energia comunicativa, ora chiede risposte. E se non arrivano, il ’vaffanculo’ torna indietro. È la prima del manifesto di oggi (ieri, ndr). Ma il consenso a Grillo non va né mitizzato, pensando che sia un angelo vendicatore, né demonizzato, pensando che un voto che li punisce sia un esorcismo. Se no non si capisce qual è la brace che arde sotto la cenere della politica. E la brace è il senso del fare politica, quanto conta un singolo cittadini, chi decide, come si accorcia la distanza fra democrazia diretta e delegata. Era la bellezza del referendum di Bologna: il corpo a corpo fra elettori ed eletti, diretti e dirigenti. Un’occasione per le forze del cambiamento, una gara sulle competenze, sulla Costituzione. Questo è il tema vero: come il centrosinistra smette finalmente di replicare il copione di un riformismo senza riforme la cui pulsione fondamentale è l’aggressione della Carta Costituzionale.