Laura Michetti, docente di Etruscologia e antichità italiche presso La Sapienza di Roma, dal 2017 fino allo scorso 22 agosto ha ricoperto la carica di membro del comitato scientifico del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, l’istituzione che meglio onora la cultura da lei insegnata, esponendone i reperti più significativi.
Il museo romano, inaugurato nel 1889, era divenuto autonomo nel gennaio del 2016, in seguito alla riforma attuata dal ministro Franceschini a partire dal 2014. Il 19 giugno di quest’anno il successore Bonisoli ha tuttavia ottenuto l’approvazione di un decreto, entrato in vigore due mesi dopo, che implica la revoca delle autonomie precedentemente concesse alla Galleria dell’Accademia di Firenze, al Parco dell’Appia antica e, appunto, a Villa Giulia.
Cambiato il governo, il suo destino, nell’approssimarsi del centotrentesimo compleanno, è incerto. Al momento il museo è affidato alla Soprintendenza Speciale di Roma, la stessa delle Terme di Caracalla e della Villa di Livia, ma dovrebbe confluire nel calderone del Polo museale del Lazio, il referente di Castel Sant’Angelo e del Pantheon. Nei comunicati del precedente ministro Bonisoli, si accennava alla creazione di una rete di «musei nazionali etruschi», che risarcirebbe Villa Giulia mettendola a capo di un consorzio di necropoli e istituti affini, tra cui Tarquinia e Cerveteri nel Lazio, Chiusi in Toscana. Non si specificava altro. Nel merito, Franceschini non ha ancora assunto alcuna posizione.

Qual è la sua opinione rispetto alla revoca dell’autonomia?
L’interruzione brusca e senza preavviso di un percorso di gestione che sarebbe dovuto durare fino al 2021 ci ha spiazzati. Eravamo impegnati nel portare a termine un ciclo quadriennale, inseguendo risultati che altri avrebbero potuto giudicare – in modo positivo o negativo. Abbiamo dovuto lasciare a metà mandato le iniziative avviate, con le relative progettualità economiche.

Sono state diverse e autorevoli le proteste a difesa dell’autonomia perduta, anche se all’epoca non sembrò molto apprezzata…
La riforma non era stata condivisa da importanti componenti del Mibact e delle università per aver separato i musei dal territorio: un controsenso soprattutto per un museo archeologico, che non è mai un congelatore con collezioni immobili perché queste sono implementabili grazie a scavi e ricerche. Definita l’autonomia di diversi parchi archeologici e musei, i vari direttori, tra cui Valentino Nizzo a Villa Giulia, stavano però iniziando a sfruttare al meglio la situazione creatasi, perseguendo quella valorizzazione nelle modalità richieste da chi li aveva chiamati a quel ruolo.
In più, l’autonomia aveva riconosciuto a Villa Giulia la sua specificità dovuta a una vocazione intesa unicamente a illustrare la civiltà etrusca e, in parte, italica. Il Museo nazionale etrusco è un’eccellenza, al di là dei numeri. Probabilmente una delle preoccupazioni principali di Bonisoli era legata al computo dei biglietti staccati, ovviamente lontano dai numeri del Colosseo, ma non è da questi particolari che si giudica il valore di un museo.

In cosa consiste la rete dei musei nazionali etruschi citata nel decreto ministeriale?
È un palliativo per salvare il salvabile di fronte alla retrocessione di Villa Giulia che, prima della riforma, era sede della soprintendenza dell’Etruria meridionale, e quindi vincolata alla tutela del territorio, mentre ora si ritrova a essere totalmente svuotata di senso, se la priviamo anche della garanzia di un’autonomia. L’idea, già ventilata e accantonata nel 2016, è tornata all’ordine del giorno come reazione resiliente a un cambiamento di rotta repentino e per nulla meditato.

Crede che quel sistema possa funzionare?
Certamente permetterebbe di mantenere un’identità etrusca. Tuttavia l’Etruria non rientra nei confini del Lazio, estendendosi anche in Toscana e parte dell’Umbria. Dovremmo quindi fare i conti con un sistema interregionale, con le conseguenti complicazioni dal punto di vista logistico e amministrativo. Oltretutto, importanti musei etruschi sono civici, mentre la rete prospettata interesserebbe soltanto quelli statali, per cui il discorso resterebbe parziale.
Non si può, infine, pensare che Villa Giulia – che già con l’autonomia riusciva a malapena a mantenersi, riducendo al minimo le spese – possa da sola sostenere economicamente la vita di così tanti istituti. Servirebbe un piano di finanziamenti alternativo: qualora se ne trovasse uno, allora sì che la proposta meriterebbe attenzione.

Quale soluzione suggerisce, quindi, per assicurare al museo una vita dignitosa?
Ormai non è più possibile tornare al sistema precedente la svolta impressa dall’attuale ministro durante i governi Renzi e Gentiloni, vista l’ampia portata dei cambiamenti messi in moto. Villa Giulia ha una tradizione idealista che risale al concepimento dell’unità italiana. Negli anni ’80 dell’Ottocento fu messo in atto un progetto pionieristico di mappatura della nostra archeologia, iniziato con un censimento dei siti del Viterbese e proseguito con il loro scavo. I reperti restituiti confluirono a Villa Giulia, allora un’antica villa di campagna. Qui si volle fare un museo dell’Etruria, come contraltare al Museo nazionale romano: dentro le mura il secondo, fuori il primo in rappresentanza del territorio a Nord di Roma. Si esprimeva così lo spirito di una nazione appena formata, capace di valorizzare il suo patrimonio culturale con una visione di ampio respiro che oggi si fatica a rintracciare.