«Con i nostri corpi abbattiamo le frontiere» scandivano gli striscioni al Brennero, al confine tra Italia e Austria. Un’immagine ritrovata qui, sul manifesto della mostra d’arte Universal Hospitality su nazionalismo e migrazioni. «Idea iniziale era portare la mostra Private nationalism dall’ Ungheria a Vienna, spiegano i curatori (Edith Andras, Birgit Lurz, Ilona Németh e Wolfgang Schlag), che era incentrata sull’Europa orientale, ma abbiamo voluto reagire alla renazionalizzazione e xenofobia nel resto d’Europa aggiornandola alla situazione attuale».
Siamo nell’atrio di un grande edificio labirintico dove la mostra si dipana tra tre piani e 38 stanze. In passato sede della Posta centrale dell’impero multietnico, istituzione che abolì il privilegio feudale alla comunicazione internazionale aprendola a tutti. «Emergency Turned Upside-Down», emergenza alla rovescia, che portò l’Austria a restringere il diritto d’asilo. È un video proiettato su megaschermo dell’artista visivo Oliver Ressler: «Le frontiere discriminano in primo luogo tra capitale che passa indisturbato e corpi umani (nei contratti chiamati ’lavoro’) che vengono fermati, espulsi, affogati, schiavizzati, secondo l’umore dei cani di frontiera» spiega il testo accompagnato da linee febbrili in bianco e nero, che diventano filo spinato, rotte di migrazioni, battiti di cuore «le frontiere sono il vantaggio competitivo del capitale che scorre liberamente nei confronti della classe legata ai confini».
Il tema confini nella fortezza Europa è declinato da molti video. Ecco Idumeni (Tomás Rafa) che ha segnato il passaggio dall’estate delle migrazioni all’inverno dei muri, simbolo del fallimento politico europeo. Come cucinare in mezzo al fango, farsi i cappelli, giocare? Con un approccio diverso dai media, il video scava nelle pieghe del microcosmo dei condannati nel limbo, dentro le tende scosse da vento e pioggia, nei gesti quotidiani malgrado tutto, sopravvivere è possibile grazie al sostegno e capacità straordinari dei volontari giunti da tutto il mondo.
Entro in una stanza allestita da vecchio ufficio postale (Lisl Ponger), o forse è un altro ufficio, di controllo. Sulla scrivania passaporti, un puzzle irrisolto e un timbro con impressa la parola ‘forse’. Sulla parete una serie di francobolli, atlante: racconta sequenze intorno al muro tra Melilla e Marocco al confine esterno dell’Ue, prototipo e predecessore di quelli interni. Avverbi di luogo, sono francobolli che mettono in luce le domande ossessive sul dove, da dove, verso dove, per affermare l’assunto che tutti quelli che sono qui, sul posto, sono di qui. Un qui universale che interroga anche il ‘noi’, noi che viviamo nel benessere al confronto col ‘là’. Ancora parole, quelle di frontex, dei ‘cani di frontiera’ come li chiama Ressler: sono composte unicamente dalle sigle dei singoli paesi, un linguaggio appropriato al ruolo.
Nessun ‘qui’ o ‘noi’ conta per chi non ha i documenti giusti che nessuno rilascia, rimani un puzzle irrisolto. O rimane crearsi una propria ambasciata come aveva fatto un gruppo di sans papier di diverse nazionalità nel 2001 a Bruxelles occupando l’ambasciata somala abbandonata. Così è nata la ‘Universal embassy’, postazione di empowerment e organizzazione per ottenere i fondamentali diritti di esistenza legale. Lo documenta Martin Krenn nella serie fotografica ‘City views’ che ha esplorato città europee insieme ai migranti disegnando una «cartografia urbana dello sguardo su zone traumatiche e conflittuali». E se ti trovi nella situazione opposta e vuoi perdere la tua cittadinanza? «Non credo che l’identità nazionale mi rappresenti» ha scritto Núria Güell Serra richiedendo la sua dismissione dalla cittadinanza spagnola. Le autorità hanno rifiutato, apolidi non si può diventare per scelta, ma solo per punizione.
La democrazia nell’Ungheria di Orban: ‘Immovable Land’ (Loerinc Borsos) visualizza il suo sfaldamento. Una ricostruzione fedele in argilla del parlamento ungherese, un edificio sontuoso neogotico simbolo di Budapest, è posto su una base di metallo in continua vibrazione, avvicinandoti diventa più intensa e vedi il parlamento sfarinarsi. ‘Amourous Geography’ di Szabolcs KissPál usa la metafora di un monte artificiale costruito nello zoo di Budapest per evidenziare l’artificialità del concetto di nazione e mettendo in discussione la narrazione egemonica sul trattato di pace di Trianon e la Transilvania, i fondamenti del nazionalismo ungherese.
Il nazionalismo ucraino: del gruppo di artisti ucraini R.E.P. Group un percorso di quattro chiese mobili, costruibili in Ucraina a bassissimo costo, per la loro funzione di appropriarsi di territori e raccogliere fondi. Sulle pareti interne il diktat del ministro della cultura che ha asservito le istituzioni culturali -come in Ungheria- alla «fedeltà per la patria». Il contrappunto più radicale, il Gipsy dada ‘Frontier De Luxe’ di Delaine Le Bas e Damian Le Bas conclude la mostra.