«Ci aspettiamo che la Germania dica se è ancora disposta a ricevere profughi e quanti, oppure se non li vuole più». «L’Austria è per una soluzione europea alla crisi dei migranti, ma visto che ancora non c’è, impostiamo una politica nazionale e di area». Con queste due stilettate il giovane ministro degli Esteri austriaco Sebastian Kurz ha chiarito al sito tedesco della Bild quello che intende per «necessario cambio di passo» nella politica comunitaria sull’immigrazione e lo scopo della convocazione di ieri a Vienna dei ministri di ben nove paesi balcanici per un coordinamento alternativo sotto l’egida dell’Austria.

Non è da ieri che Sebastian Kurz viene sospettato di lisciare il pelo delle nostalgie imperiali tardo-asburgiche mai sopite in Austria come sull’altro versante delle Alpi, nostalgie che riverberano le passate glorie di una Mitteleuropa non a trazione tedesca e che si accendono di nuovi colori tanto più sbiadisce il progetto unitario. Kurz poi ha una carriera politica spianata davanti. La sua testa castana sempre impomatata spicca tra i capelli bianchi dei diplomatici europei. È l’enfant prodige del partito popolare austriaco, non ha ancora compiuto trent’anni: è il più giovane ministro d’Europa, oltre che il più giovane della storia austriaca e potrebbe tranquillamente diventare da anti-Merkel, il suo prossimo successore.

Perciò, incurante delle timide critiche della Commissione e delle vibranti reazioni del governo greco («la Grecia ha dimostrato nella riunione di Amsterdam tre settimane fa di non aver alcun interesse a ridurre il flusso dei profughi e di voler continuare a cavalcare l’onda», così Kurz ha rivendicato l’esclusione di Atene dal vertice balcanico), il rottamatore a tempo di valzer – come lo chiamano – non accenna a passi indietro.

Oggi i ministri di Austria, Albania, Bosnia-Erzegonina, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Fyrom (ex repubblica macedone), Montenegro, Serbia e Slovenia torneranno a incontrarsi per una colazione di lavoro a Bruxelles in modo da coordinarsi e far pressione collettivamente sul vertice ufficiale dei 28 convocato nel primo pomeriggio.

In più, il coordinamento continuerà a livello di capi delle polizie nazionali venerdì a Belgrado. Per Kurz si tratta di riunioni «normali» e «nessuno può dire che non siamo solidali, l’Austria nel 2015 ha avuto il doppio delle richieste di asilo dell’anno prima, come la Germania».

Quanto al ruolo-guida di Vienna per i Balcani occidentali, «si tratta di una regione chiave per l’Austria – ammette – e non vogliamo che restino soli». Intanto si spalleggiano: il governo macedone sostiene di non voler respingere selettivamente gli afghani ma di aver dovuto restringere i criteri per effetto di decisioni analoghe prese da Serbia e Croazia. La Croazia dal canto suo diece di «non voler diventare un hot spot dell’Europa». Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni giudica «pericoloso» l’annuncio del premier ungherese Viktor Orban di indirre un referendum contro le quote obbligatorie di ricollocamenti dei rifugiati ma deve nel frattempo subire la conferma da parte dell’Austria di avere allo studio anche il ritorno dei controlli di frontiera al Brennero.

In ogni caso i dieci paesi «asburgici» si scambieranno gli agenti di polizia a difesa delle frontiere, stabiliranno quote giornaliere d’ingresso (l’Austria le ha già fissate: 3.200 transiti al giorno verso la frontiera tedesca e 80 di asilo) e collaboreranno seguendo l’obiettivo di «ridurre i flussi», incluso – come ha chiarito la collega degli Interni Johanna Mikl-Leitner (nella foto sopra al suo fianco), supportare Skopje nel braccio di ferro sui valichi con la Grecia.

La situazione sul confine tra Grecia e Macedonia a Idomeni è sempre incandescente, anche se ieri Skopje ha riaperto le barriere facendo passare i profughi col contagocce: appena cento alla volta. Secondo fonti del governo Tsipras i migranti intrappolati nel collo di bottiglia sono tra i 14 e i 20 mila e, fa notare il vice ministro alle Migrazioni Yoannis Moulazas «la bottiglia potrebbe andare in pezzi e ciò non fermerebbe il flusso lo renderebbe solo più pericoloso, attraverso canali illegali e più rischiosi».

In questo scenario in pezzi la proposta della Commissione al Consiglio di oggi è quella di sostituire Frontex con una Guardia costiera e frontaliera europea e affidarsi alla Turchia per riprendersi i migranti salvati. Quanto ai blocchi, il vertice europeo stabilirà che in base all’articolo 26 del codice Schengen saranno considerati fuori dall’area di libera circolazione per sei mesi rinnovabili tre volte i paesi che «non cooperano». Cioè chi non vuole, più la Grecia, che avrà tempo fino a metà maggio per sanare i «buchi» alle frontiere esterne. Buchi grandi come il mare.