Sempre più spesso chi lavora sulle immagini in movimento si imbatte in profili artistici e in esperienze realizzative che condensano in sé diversi saperi, «indiscipline» e attitudini multiple, compresenti, intrecciate. Per una serie di motivi (non ultimo l’autonomia espressiva consentita dalla padronanza della catena digitale ripresa-montaggio-creazione ed editing del suono, autonomia una volta impensabile) la figura dell’autore sembra mutare, oltrepassando talvolta gli specialismi, acquisendo una fluidità nell’uso di vari linguaggi ma anche praticando un nomadismo che non è solo quello virtuale consentito dalle reti, e amplificando così un tratto di alcuni pionieri della videoarte.
Il francese Robert Cahen, uno di questi pionieri, è sempre stato un grande viaggiatore; non si è mai convertito alla solitudine dei software domestici, ha continuato a creare piccole famiglie di collaboratori fidati (come nella tradizione del cinema sperimentale) e a dialogare con altre arti, altri artisti. Così, in queste esperienze recenti nel mondo il suo tragitto si è incrociato con quello di uno scrittore e poeta come Alessandro De Francesco (anche artista visivo e autore video) e di un pittore e musicista come Matias Guerra (anche autore di performance e installazioni, di video, di progetti culturali). Italiano il primo, cileno il secondo. E poi con un musicologo e un musicista dell’Azerbaigian, Jahangir Selimkhanov; con un cineasta documentarista come Ruben Guzmán, argentino; e con una pioniera del cinema sperimentale (ma anche performer e autrice di installazioni) nata a Berlino negli anni Venti ma in Argentina da sempre, Narcisa Hirsch. Viaggi nelle immagini, nei suoni, nei paesi, abolendo confini e steccati, perniciose identità, definizioni ed etichette. Anche quelle dell’età: artisti dai trenta ai novant’anni, in cammino, in ascolto, con gli occhi ben aperti.
DALL’ARGENTINA…
«Tira vento, dopo giornate caldissime. Lavoriamo bene, Rubén, Narcisa e io, anche se Kosmos n. 2 è più complicato da delineare. Nel nuovo film ci sono inquadrature di boschi, donne indie che camminano e corrono…si vedono solo i piedi. Senza saperlo, attraversano il cosmo…»
Così scrive Robert Cahen dalla Patagonia argentina, nel febbraio 2018. Si trova lì per girare un video con Rubén Guzmán e Narcisa Hirsch, un nuovo Kosmos dopo il primo, realizzato con gli stessi compagni di viaggio e di cinema nel 2017. Le foto mostrano i tre fra specchi d’acqua, sterminate distese verdi, linee di spiaggia, al lavoro per Kosmos 2. Il primo è stato presentato al 232° Festival internacional del cine de Mar de Plata (in Italia a Milano, «Invideo»). Una breve opera di videoarte «pura», cosmica appunto, contemplativa e sensoriale, su paesaggi trasfigurati, enigmatici, intrecciati con musiche e con sonorità naturali e come sospese. In spazi e tempi «altri».
Il secondo lavoro, ora in montaggio, intitolato Kosmos. The uncertainty, dura 10’ come il primo e ho potuto vederne la versione non ancora definitiva. Si presenta come una danza degli elementi, sospesa fra terra e cielo infinito, riflessi di nuvole in specchi d’acqua, esplosioni solari. Oceani di foglie, foreste di cielo, passi di donne in corsa, neonati gemelli appena intravisti, rotaie e ombre, enigmi sonori e visivi, astrazioni cosmiche; una concezione sonora tattile, evocativa.
Kosmos 1 e 2 sono frutto di una collaborazione fra tre artisti diversi per formazione, età ed esperienza. Narcisa Hirsch (Berlino, 1928) è una pioniera del cinema sperimentale argentino; partita da disegno e pittura, non ha solo fatto film in 16 mm e in super 8 e poi video ma anche installazioni, interventi urbani, happening. Aveva girato un cortometraggio in Patagonia, negli anni Settanta. Anche Rubén Guzmán (Buenos Aires, 1959) ha girato un breve documentario in Patagonia nel 2016, La indiferencia del viento; oltre che filmmaker, è organizzatore culturale; e ha curato la fotografia di un film sulla stessa Hirsch, diretto da Daniela Muttis (Narcisa, 2014).
Il francese Robert Cahen (Valence, 1945), formatosi a Parigi alla scuola della musica concreta di Pierre Schaeffer, è protagonista della videoarte internazionale. Autore di numerosi video che hanno fatto scuola per il «documentario di creazione» (in cui il paesaggio viene trasfigurato poeticamente dalle metamorfosi videoartistiche), ha inaugurato nella videoarte forme di narratività anomala e aperta. Aveva già girato sue opere in Cile (frequentando anche il «Festival franco-chileno de videoarte») e in Antartide, ed è ben noto in America del Sud, dove spesso viene invitato per retrospettive e incontri, in particolare in Argentina e Brasile, attraverso una rete di festival, università, sedi espositive e colloqui internazionali.
I tre si sono conosciuti nel 2013, al «Patagonia International Experimental Documentary Festival» a El Bolson, dove Cahen ha scoperto il cinema di Hirsch e ritrovato Guzmán, incontrato anni prima a Buenos Aires: così la novantenne Narcisa, il quasi sessantenne Rubén e Cahen, settantatre anni, hanno deciso di mettersi alla ricerca del «cosmo» che è ovunque, in paesaggi sconfinati e grandiosi come nell’infinitamente piccolo.
Si ritrova qui un’attitudine al lavorare in gruppo: una sorta di famiglia allargata, un confronto con co-autori o collaboratori vicini e fidati. Per Cahen è stato così nella lunga stagione condivisa con Michel Chion (compositore, cineasta e videasta, teorico e storico del cinema e dell’audio-visione) e con la montatrice (e poi autrice, e organizzatrice culturale) Ermeline Le Mézo. Cahen è fra quegli autori che non si sono convertiti al fai-da-te digitale e che ha sempre cercato il dialogo, anche con i montatori, come nella stagione al «Centre International de Création Vidéo» di Montbéliard-Belfort, il castello elettronico in cui (epoca Jack Lang) si trovavano artisti di tutto il mondo per residenze di realizzazione video, in un costante intreccio di conoscenze, opinioni, visioni discusse in modo corale, progetti e scambi di idee.
…ALL’EUROPA
Così, in Europa come in Sudamerica, anche dopo quegli anni Cahen ha saputo restare in una rete di collaborazioni, che hanno incluso anche autori più giovani. È questo il caso del lavoro svolto nel 2014 (versione italiana 2015) con Alessandro De Francesco e con Matias Guerra per This is an unknown surface, un videopoema di 11’ in cui si intrecciano scrittura, voce e dettagli di luoghi ed elementi naturali (presentato in Gran Bretagna all’ «Alchemy Film Festival» nel 2014 e, in Italia, a Palermo nel novembre 2015, per «L’Efebo d’Oro», dove Cahen ha ricevuto un premio alla carriera). Testo dell’italiano Alessandro De Francesco (1981), artista, poeta e saggista il cui lavoro indaga in varie forme la scrittura, scritta, pronunciata, elaborata e mostrata – che diventa anche protagonista di reading environments e di mostre. Un’idea di espansione e di metamorfosi, di accrescimento del testo, dilatato ed esibito, oggetto e voce (anche elaborata digitalmente), elemento che diventa arte visiva e grafica. Fra le sue pubblicazioni, in Italia Augmented Writing, La Camera Verde, Roma 2013. De Francesco lavora fra la Svizzera e il Belgio, con mostre e performance a Berlino, a Parigi e in altre città francesi, a New York. La sua collaborazione con Cahen e Guerra è iniziata a in Svizzera, a Basilea, dove De Francesco svolgeva in quel periodo la sua attività artistica. Il lavoro sulla «scrittura aumentata» ha consentito un dialogo fra elemento testuale, raro nell’autore francese, metamorfosi di riprese dal vero e di dettagli naturali ripresi da Cahen e ritmo scandito da effetti ed elaborazioni elettroniche di Matias Guerra, non solo videomaker ma anche musicista, conoscitore di musica novecentesca e dell’intreccio di immagini e suoni.
Guerra, di origine cilena (Santiago, 1973), da vari anni a Milano – dopo aver vissuto in Ecuador, a Londra, a Roma – si muove fra le arti: innanzitutto pittura, poi musica e video; ma i suoi progetti includono anche i territori dell’architettura, della scienza, della filosofia. Oltre a mostre (recentemente a Roma e a Lubiana) e concerti, realizza installazioni sonore e performance multimediali, come Nekrotzar. Cercando l’arcobaleno (2016), ispirata a Kubrick e a Ligeti (video e chitarra elettrica), che ha visto poi una versione installativa. Collabora alle attività editoriali ed espositive de «La Camera Verde», al festival «Moby Dick» a Piane di Bronzo (Tuscania) e a varie attività associative e culturali autoprodotte, di segno collettivo e indipendente.
Artisti, paesi, lingue e modalità espressive diverse, intrecci nomadi fra «indiscipline», confronti fra generazioni ed esperienze che producono idee, progetti e opere.
…ALL’AZERBAIGIAN
L’idea parte dall’Azerbaigian, paese in cui Robert Cahen era stato invitato come artista video.
Vi era già stato nel 2005 e nel 2008, e nel 2016 aveva tenuto un laboratorio video a Yarat. Ed è in Azerbaigian che incontra Selimkhanov: «Jahangir Selimkhanov mi ha fatto scoprire il jazz di Baku. Conosce bene la musica di Cage, Schaeffer, Stockhausen e Boulez; abbiamo parlato di musiche contemporanee. Poi è venuto a Strasburgo, nel contesto di un concerto di musiche dell’Azerbaigian…». Inizia cosi la collaborazione con Selimkhanov, musicista e musicologo, organizzatore culturale, attento cultore della tradizione musicale azera e conoscitore della musica novecentesca. Selimkhanov comunica a Cahen un suo progetto: realizzare una versione di Imaginary Landscape n. 5 di John Cage (1952) che sia basata su elementi della musica mugam, musica tradizionale dell’Azerbaigian, sia allo stato puro che elaborata elettronicamente. E poi farne una versione video. Il sottotitolo di Cage indica: for magnetic tape recording of any 42 phonograph records.
«Pensi che sarebbe interessante, scrive Selimkhanov a Cahen, seguire puntualmente lo spartito di John Cage concepito per 42 pezzi di musica e fare uno spartito video parallelo con 42 pezzi? Ti interesserebbe? È una specie di omaggio alla tua idea di trasferire la logica e le tecniche della musica concreta all’immagine in movimento…Sarebbe grandioso visualizzare lo spartito di Cage! Ora stiamo lavorando alla sonorizzazione dello spartito con 42 frammenti da brani registrati di musica dell’Azerbaigian di tutti i tipi (folk, tradizionale, sinfonica, fino all’underground synth-pop). Una specie di paesaggio sonoro immaginario della musica nazionale in tre minuti…»
Cahen riprende per questo progetto la collaborazione con Matias Guerra.
Nasce così Imaginary Video Landscape (sottotitolo: For a random number of cuts from 14 archive videos), produzione Francia-Italia-Azerbaigian, presentato al Festival di Baku nell’ottobre 2017 – e poco dopo a «Invideo», Milano. Nell’occasione Guerra ha tenuto anche una masterclass allo IED su quest’opera e sull’intreccio di paesaggi visivi e sonori.
Imaginary Video Landscape è un lavoro di poco più di tre minuti, che arricchisce con una composizione video le numerose e diverse esecuzioni e interpretazioni delle indicazioni sonoro-musicali dello spartito di Cage e in cui le differenze, le discontinuità, le evocazioni vengono rappresentate visivamente attraverso una «partitura» irregolare creata a partire dal corpus di opere di ognuno dei due artisti, con micro-prelievi che diventano altro: riletture, dialogo fra esperienze e modi espressivi diversi, scansione temporale (tempo della vita, ritmo delle immagini), e allo stesso tempo si fondono e si confondono. Una composizione agile che è stata punteggiata e arricchita con l’inserimento dei volti intravisti degli artisti stessi, filmati oggi. Dettagli di occhi, bocca, pelle, barba, capelli di Cahen e di Guerra mescolati alle immagini realizzate da loro nel corso del tempo: una sorta di firma, e, insieme, segno dell’irruzione nell’opera della vita e traccia della rappresentazione di sé. La concezione sonora di Selimkhanov e il montaggio delle immagini generano come epifanie impreviste, micro-narrazioni diverse che si interrogano e interrogano i rispettivi percorsi.
«Abbiamo pensato – scrive Guerra – che usando i nostri archivi avremmo creato una corrispondenza con il principio ispiratore di Cage senza discostarci troppo dalle nostre rispettive estetiche. La linea di progressione storica interna ai lavori è forte, ma sento che sparisce, rendendo i frammenti contemporanei, il che per me significa soprattutto che non presentano una distinzione temporale marcata nettamente (il tempo in cui video è stato fatto in quanto elemento distintivo) , dato che i principali elementi in gioco diventano i riferimenti chiave dentro le immagini. Come le piccole narrazioni che si aprono secondo dopo secondo e le ripetizioni riconoscibili che non danno solo un ritmo ma anche un contesto semantico…È un paysage vidéo che intreccia due diversi tipi di lavoro, due identità che vengono messe in discussione dal lavoro stesso.»

 

 

INCONTRI

A Pisa, giovedi 19 aprile, giornata sul rapporto suoni-immagini, con particolare riguardo alla musica novecentesca e alla videoarte. Vi partecipano fra gli altri proprio Robert Cahen e Matias Guerra, che la mattina alle 12 all’Università presentano e commentano «Imaginary Video Landscape». Cahen presenterà anche Kosmos (2017) e qualche anticipazione di Kosmos. The uncertainty (2018).
La giornata vede poi, alle 16.30, Gipsoteca di arte antica, la presentazione della rivista Nuove Musiche (Pisa University Press) che intende «dar voce a tutti i soggetti coinvolti nel fatto musicale», con sguardo trasversale e internazionale e con numeri ora monografici ora miscellanei. La rivista viene presentata dai direttori, Martino Traversa e Stefano Lombardi Vallauri, e da Alessandro Cecchi, docente di musica dell’Università di Pisa. Il pomeriggio prosegue con una personale di Robert Cahen dedicata alle «sinfonie urbane»: al cineclub Arsenale incontro con lui e rassegna dei suoi documentari di creazione che ritraggono fra l’altro a New York, Hanoi, Hong Kong. Si dispiega qui una ricerca che Cahen da sempre conduce fra videoarte e dimensione sonora, anche con un’indagine sulle complesse e stratificate sonorità metropolitane (è il caso di Hong Kong Song, 1989, per un progetto internazionale con urbanisti e architetti). Infine, alle 21, sempre al cineclub, la performance video-musicale di Matias Guerra ispirata a Kubrick e a Ligeti, Nekrotzar. Un percorso in video e chitarra elettrica, elettronica dal vivo che, partendo in modo non illustrativo dagli universi visivi e sonori dei due autori (ma anche dal libretto di Der Grosse Makabre di Ligeti-Meschke), crea enigmi narrativi e derive poetiche.
Per informazioni dettagliate sul programma: http://ondavideo.arte.unipi.it/ondavideo/