Mio carissimo amico ti scrivo dalla Zona, non proprio quella che attraversavi da Stalker nel 1988 con il tuo geniale e feroce spettacolo nato nella tua testa dopo l’avvento dell’Aids e la catastrofe di Chernobyl, ma quella vera, purtroppo tragicamente reale in cui è rinchiuso l’intero paese per colpa di un invisibile virus dal nome presuntuoso «Corona», una zona che per te caro poeta flaneur sarebbe una vera tortura senza bar, né tavolini all’aperto dove trascorrere le ore del tempo morto, strade deserte e niente ragazze vestite di primavera, niente rossetti sotto le mascherine chirurgiche, niente carezze, niente baci innocenti, niente occhi verdi e lunghe ciglia, gli sguardi sono bassi e sfuggenti e trasmettono paura e soprattutto, niente campionato!

Ma de che sei pazzzza (con molte Z)? Corona de chi? Corona de che? Parli de Marte? t’immagino borbottare e poi giù con associazioni di parole e immagini e sono sicura che nonostante la tragedia che molti, troppi, stanno vivendo riusciresti a strappare risate amare anche ai più tristi.

Sono giorni, anzi settimane, che tento di scriverti per ricordare a tutti che sono già 20 anni che te ne sei andato, per invitare tutti a rileggerti adesso che è uscito un nuovo libro dei tuoi scritti: Non è successo niente (ed. round midnight).

Vent’anni in cui tutto è cambiato dalle lire che non esistono più, non posso dimenticare la tua ultima telefonata con un gettone che t’avevano regalato in ospedale la sera prima di andartene per sempre in cui mi chiedevi un aiuto perché non c’avevi neanche le 200 lire per chiamare tuo figlio Emiliano e avvertirlo che eri lì, beh ora ci sono gli euro, moneta che ha sintetizzato ed eliminato tutte le nostre «migliaia» e molti risparmi, adesso 1 euro vale 2000 lire e un pacchetto di sigarette costa l’equivalente di 10.000 minimo, ma la gente s’è abituata a questo e a molto di peggio: al neoliberismo selvaggio , alla distruzione dello stato sociale, al femminicidio (parola nuova che indica il profluvio di ammazzatine di donne ogni 2 o 3 giorni), al climate change (sai ora usiamo molti termini stranieri per indicare la qualsiasi, tradotto vuol dire che il clima è impazzito non ci sono più le stagioni i gelsomini fioriscono a febbraio e a maggio si rischiano grandinate che distruggono l’agricoltura a volte sembra di stare ai tropici e altre al polo sud, in breve tempo un bicchier d’acqua costerà più di un anello di brillanti) al ritorno di gruppi neonazisti e razzisti, alle guerre che esplodono tutt’intorno a noi a cui siamo sommamente indifferenti, al mare Mediterraneo diventato una grande bara per poveracci che non sanno più da che parte fuggire ( noi italiani brava gente abbiamo stretto accordi assai costosi con Libia e Turchia per costruire lager e campi di concentramento dove rinchiudere migranti e rifugiati che vengono ripetutamente torturati e violentati, pur di non doverli vedere «a zonzo» nelle nostre belle città, si sa che sono brutti e sporchi!) e troppe altre cose non proprio piacevoli come il rischio d’estinzione delle api e degli orsi bianchi e tra un po’ del mondo conosciuto.

Tutto ciò fino all’arrivo di questo Virus interclassista e cosmopolita che chissà se e quale effetto avrà sul Pianeta….ecco ho divagato ancora… Ho cominciato molte volte questo articolo ma dopo le prime 5 o 6 righe non sono riuscita a procedere, i miei pensieri arrancano non riescono a posarsi sulla carta in modo sensato sarà colpa dell’isolamento, già perché tu non lo sai ma siamo tutti chiusi nelle case e se qualcuno s’azzarda ad uscire senza «giustificazione» rischia la denuncia penale!

Eppure di te conosco tante cose, tante ne potrei scrivere forse troppe per comprimersi in un articolo. Ci siamo conosciuti nel 1974 , credo d’estate, nel giardino di mia zia, eri passato con un amico molto carino a trovare Francesca mia cugina, siamo stati tutto il pomeriggio insieme a chiacchierare di tutto e di teatro fino a notte fonda, mia zia era fuori Roma e noi occupavamo la casa a sua insaputa, e dopo un po’, non so se quella stessa sera o giorni dopo, però certamente in quel salotto seduti sul divano, mi hai detto di andare al teatro Valle a fare un provino per Giuliano Vasilicò che cercava una sostituta attrice per le 120 giornate di Sodoma, spettacolo in cui tu stesso lavoravi. Io andai, provai, mi intimidii e scappai via. Però poco dopo il teatro d’avanguardia era diventato la mia vita, come sempre c’avevi visto giusto.

Tu guardavi dentro le persone e le penetravi fino in fondo con i tuoi occhi di velluto profondi e dolcissimi. Del resto il fondo lo cercavi in ogni cosa, lo attraversavi, lo bevevi scolando l’ultimo bicchiere di amaro, di amara vita. Abbiamo lavorato, vissuto insieme, litigato e fatto pace ci siamo sempre voluti molto bene, sempre da amici, veri amici una cosa difficile tra uomini e donne, eppure del tutto naturale tra noi nonostante tu fossi un vero-finto misogino a parole e non nei fatti. In realtà sei sempre stato un uomo gentile, ipersensibile, a volte infame ma quando lo eri lo dichiaravi in anticipo o quasi: «scusami Ale sto a fa l’infame ma nun t’arrabbià» e infatti non ci siamo mai «appiccicati davvero» come si dice a Roma.

Questo succedeva quando mi mandavi avanti a discutere per farci pagare, cosa rarissima nel nostro mestiere ahimè, prima mi montavi come un allenatore col suo pugile, «basta! se nun ce pagano nun famo lo spettacolo…» e poi eri il primo ad abbassare la testa e a nasconderti in quinta facendo finta di nulla quando io mi beccavo la strigliata del «produttore» ma non per vigliaccheria, o forse non solo, piuttosto perché per te, come per me, il teatro era tutt’altro che semplicemente un lavoro, era respiro, vita, possibilità di essere. Tu che da Vittorio Vitolo sei diventato Victor Cavallo poeta capace di associazioni linguistiche e mentali atroci e dolcissime, attore il cui sussurro roco arrivava alle ultime file dei teatri apparentemente senza forzatura alcuna. Ragazzo di Garbatella che aveva frequentato il liceo classico Visconti, tra i più considerati di Roma, colto e popolano, inventore di associazioni debordiane zozze e raffinate come l’anarcosorcosituazionismo e la jeunesse pessimiste europeenne.

Sei stato Stalker, Scarface, Brecht con la regia di Simone Carella e io ero tua moglie, Cicci il mostro di Scandicci, Alessandro Magno, il Matto nella mia Roma (avevo scritto un pezzo per un altro attore tu te ne sei innamorato e hai fatto un casino pestifero per impadronirtene facendolo letteralmente scappare insieme all’attrice protagonista a due settimane dalla prima, e così mi hai obbligato a recitare, io che non volevo perché facevo anche la regia, ma avevi ragione tu e lo spettacolo era bellissimo), il Re nella Bella Addormentata di Pagliarani, e mille altri. Que reste t’ il de nos amours cantavi o fischiettavi negli spettacoli con la voce più roca di quella di Trenet ma altrettanto malinconica. E anche «siamo deboli, siamo fragili, non gliela fassimo più, e pure pure tu, con quel vestito blu, no nun me dì de più, nun gliela fassi manco tu».

E un giorno che ero stanca morta dopo le interminabili prove dell’ultimo spettacolo che abbiamo fatto insieme La cura di Victor con Patrizia Bettini (trama: convivenza coatta alla periferia di Mosca tra una ninfomane, Grushenka-Patrizia, una uxoricida, Agrafena- io, e un sedicente psichiatra che si sparava tutti i soldi giocando a li cani, Viktor Vitravski -tu , cominciava con una seduta spiritica in cui invocavamo lo spirito del comunismo e finiva con una pioggia di sexorubli-tappi di bottiglie e un urlo disperato SE SO BEVUTI TUTTO!) e tu stavi così male che non riuscivi ad alzarti dal divano se non ti procuravamo almeno una bottiglia di amaro Averna e mi hai fatto un disegnino che ho ancora in cui mi ritrai stremata con sotto la scritta «le occhiaie di Ale scendono ben al di sotto dello scroto».

Mi manchi, ci manchi, non puoi immaginare quanto ci manchi.

 

Portavo una maglietta rossa
(di Victor Cavallo)

 

Dichiaro di non essere Macario

Stamattina aspettando il 716 delle 6 e 46
Fumando una sigaretta a boccate celestine
Avevo il Sole negli occhi.
Mi sono mormorato: sei un serpente
e intendevo, quando ritroverò la mia pelle?
e ripensavo a certi acidi arancioni (strade mie) (…)
quando angeli azzurri si aprivano fontanose strade (trasformavano le strade in fontane) tra le facce mascherose (sfuggendo alle faccie mascherose) Era estate. Portavo una maglietta rossa.
E mi sono detto: non sono morto
e in qualche modo dio mi sta dicendo O.K.
O.K. mi farò prestare una spider bianca
e inviterò Heater Parisi a mangiare una cernia d’oro
O.K. chiederò tremila dollari a Bernardo Bertolucci
e apriremo il nostro piccolo zoo con tartarughe color fragola
O.K. farò tardi sì non ho fame
Mi sono lavato i capelli e ora somiglio a teddy bob
e in qualche modo io risarò un mods, sì
partirò con sigarette e gingerwine e roba (droga) pesantissima
e l’azzurrina portatile underwood e bacerò
l’ombelico danzante di Antiparos
e scriverò l’oltretomba-colore della mia vita, Sì.
Sarò Lassie sfuggito alla Siberia del dolore
sarò Drejfuss risorto in un pomeriggio di cocomero
sarò l’iguana avvelenato che morderà le palle agli assassini di Neruda
sarò una bestia che cammina in salita con due bombe peroni familiari e una cinta gialla
O.K. sarò James Cagney in furia umana quando gli annunciano la morte della madre
O.K. Sarò la rabbia di trastevere schifosa contro i Killer progressisti
O.K. berrò un altro bicchiere di bianco farò un altro tiro un’altra stronzata
e poi mi fermerò a pensarci con la testa poggiata sulla mano.

 

Aprile (dolce dormire 1999)

Finora niente bombe se non quelle alla crema e marmellata
A Pasqua vorrei fare una passeggiata tra i rasoi arrugginiti. Camminare nel
tabacco e capire perché ancora questo freddo tra i gelsomini grigi e
i viali impolverati. apatia zero, tutti. Io ho dimenticato quale treno aspetto, quale persona, quale cosa. Una luminosa lumaca turchese un barattolo di fiori secchi la pioggia il suono dei Camions
delle macchine che tostano il caffè. Schiacciano il DNA.
eh Smettila di essere sempre negativo, disse lei. Ti ricordi Malcom X. Quando diceva che l’elenco della merda era già concluso. È ora. disse lei.
Vorrei parlare di Trieste del lungomare dell’acquario dell’iridescenza
o di Capri quando l’azzurro è così intenso che brucia ogni lacrima
vorrei parlare di una giornata particolare, la gazzetta rosa, gli occhi chiusi,
sentirmi nulla come un fiore sperso al vento,
maledetti i treni che arrivano agli appuntamenti esatti
maledetti gli incontri le parole la diarrea le bolle, muoversi sull’asfalto
come coccodrilli secchi.
chi può parlarmi d’amore se non qualche ricordo antico.
solo il passato mi sussurra ancora.
il resto, sbaglierò, ma è amaro.

 

Sta per finire maggio

diventerà un altro mese ma non più maggio 1997
e solo ora mi dico quel famoso boh
oh mio cuore apriti come ultima rosa
respira questo profumo di cielo sparisci
vaga per sempre come una rondine invisibile
carezza tutte le sise gli incubi i giardini
tra chiasso lucciole caccole…essi waterloschesco
essi tenero
come la gioia dura

 

Roma Piazza Vittorio 1999

marzo 1999
Isole Tremiti. Una febbretta dentro il nuovo sole, una malcerta ferrovia di campagna.
un tram storto dietro i portici. un cuore che guarda sempre vecchi film.
i fantasmi sono i primi a gioire della ventura primavera
dell’erba che spacca i sampietrini e respirare col cuore ingordo di dolcezza.
Ah questo cuore che sale le scale degli ospedali che gira a Porta portese che vomita
chiama tace come un cane bastonato come una gabbietta vuota e grida come un gommone rovesciato.
Mi sento povero di occhi.
Traversa il viaggio paesi stranieri, la magliana, laurentino
si ferma alle stazioni ferme nel cielo bianco, come sconosciute piazze,
mi è estraneo questo camminamento l’aria vuota come un’Hiroshima
è meno faticoso così comprendere il senso del futuro: è un muro
uno scontro contro le rocce
(come diceva il ragazzo)
(l’incidente è aperto)
La morte nera genera mostruosi animaletti che mordono il cuore e fuggono immobili
la morte nera abita l’ufficio postale l’anagrafe la questura
il mondo come rappresentazione senza volontà
È da ieri che volevo dirti che mi è finito il tu però mi sbaglio
perché le ombre mi sussurrano vicino e chiamano la voce nella tempesta
nel deserto nei portici i cani muti che mordono
Bernini e Michelangelo) (bravi)
è di tristizia questo vialone sbreccolato di nuvole e farmacie
è di tristizia questo canto tutti insieme
c’è tristizia
(Dopo è incerto tra pizzette calde pizze in faccia e sonno)