«Due scimpanzé in gabbia hanno elaborato un sistema. Un genere di musica e di danza che permette loro di muoversi scambiandosi di posto». Le parole vengono dalle Animal Stories, scritti di Simone Forti, danzatrice, coreografa, artista visiva nata a Firenze nel 1935, protagonista con altri come Trisha Brown, Lucinda Childs, Yvonne Rainer, di quella ricerca sul concetto di gesto, corpo, movimento, danza, coincisa a partire dagli anni Sessanta del Novecento con la rivoluzione in America del post-modern. Un’interrogazione sul punto zero della danza.

SULLA SUA FIGURA, fino al 2 febbraio 2020, è aperta all’Ica – Istituto Contemporaneo per le Arti – di Milano, una mostra ideale per ripensare quel movimento di pensiero e di ricerca: il titolo è Simone Forti – Vicino al cuore / Close to the heart, percorso espositivo curato da Chiara Nuzzi e Alberto Salvadori. Scappata dall’Italia con la famiglia di origine ebraica nel 1938 a causa delle leggi razziali del fascismo, Simone Forti è cresciuta a Los Angeles. Tra i suoi primi maestri Simone sceglie una figura chiave dell’improvvisazione, Anna Halprin, frequentata a San Francisco, prima di partire alla volta di New York con il giovane marito Robert Morris. Avevano vent’anni. Studia con Merce Cunningham, ma soprattutto è interessata alla classe di composizione tenuta da Robert Dunn. Ama spaziare tra le arti. Tra il 1961 e il 1966, studia pittura all’Hunter College di New York.

«La mostra milanese è un’opera di Simone» – racconta Salvadori, che è andato a trovare a Los Angeles l’artista 84enne per ragionare sul progetto dell’ICA. «Tutte le opere sono state scelte da lei, filmati di danza, acquarelli, disegni, fotografie, alcune anche inedite come gli acquarelli Baby dedicati ai suoi due aborti tra il ’63 e il ’66 e mai esposti».

Lo studio del corpo (anche dolente, come nel caso appena citato) porta Forti a osservare dettagliatamente il movimento degli animali. Colpiscono negli spazi dell’Ica le tante fotografie dedicate ai gatti in libertà tra le piazze di Roma, città dove Forti visse per un anno nel 1968, a contrasto con i disegni sul movimento e l’atteggiamento degli animali in gabbia.

Animal Study – Gorilla del 1990, set di 16 disegni a inchiostro su carta, è affiancato da uno scritto a mano dell’autrice: «L’ho visto molte volte e sempre mi sono sentita onorata dalla sua presenza. Sono impressionata e commossa dalla sua compostezza. Consapevole di ogni cosa, di noi del nostro mondo, mentre causalmente passiamo e osserviamo il suo».

LO STUDIO degli animali apre a Simone modalità di ricerca sul respiro, la postura, la flessuosità, l’attenzione alle singole parti del corpo in movimento. La mostra, infatti, è tutt’altro che immobile. Il già citato video digitale sui gatti ondeggia su un lenzuolo di cotone mosso dall’aria di un ventilatore e reso sonoro da uno scacciapensieri, nelle stanze sono visionabili filmati di diversi periodi, come la grande proiezione Touch, del 1989, su una performance di Forti e compagni tenuta all’aperto alla Wave Hill Estate di New York. Il 18 gennaio e il 2 febbraio vengono riprese infine anche due storiche performance ideate dall’artista, qui rimontate con danzatori del posto. Sono Censor e Huddle del 1961. La prima è una performance con padella di metallo, viti e sonoro, la seconda, Mucchio, è una sorta di struttura umana in movimento, costituita da sei o sette persone che, unite in un abbraccio quasi indissolubile, si arrampicano a turno sulla massa di corpi. Tempi lontani, eppure imitatissimi, senza rendersi conto, molte volte, di quanto il post-modern abbia già detto.