Il momento, nella tragedia, in cui si attua il riconoscimento del proprio destino si esprime, in greco antico, con la parola Anagnórisis (in neogreco anagnórisi): l’eroe riconosce la propria colpa (Edipo, nell’Edipo Re di Sofocle, di avere ucciso il proprio padre e commesso un incesto con la propria madre) oppure due personaggi riconoscono l’uno nell’altro un legame profondo (Ifigenia fra i Tauri, di Euripide, in cui Oreste riconosce la sorella Ifigenia).

Prologos. Anagnorisis I. Canones diversi ad consequendum s’intitola il brano più lungo delle Miniature estrose per pianoforte d’amore – Primo Libro di Marco Stroppa, che il pianista Erik Bertsch (d’accordo con il compositore) ha deciso di posizionare per ultimo in questa incisione per la casa discografica viennese Kairos (€ 15,60). Vivaldi intitola una raccolta di concerti L’Estro Armonico, Stroppa associa l’estro alle miniature, ma il riferimento va più alla precisione del dettaglio che alle dimensioni di ogni brano. È un’incisione che stimola molte riflessioni, e nello stesso tempo, a chi ama non solo il piacere immediato di un ascolto gratificante, ma anche la comprensione di com’è fatta, il piacere di riconoscere anche nella musica lo svilupparsi di un pensiero.

CHIARIAMO alcuni punti. Il canone è una costruzione musicale che ha alle spalle una lunghissima tradizione, sia colta sia popolare. Una voce propone un motivo e un’altra voce risponde ripetendo lo stesso motivo. Ma qui possono intervenire mutamenti. La risposta può raddoppiare o dimezzare i valori di durata delle singole note, può invertire la direzione della melodia, salire quando scende e scendere quando sale. Può addirittura rovesciare il percorso, cominciare dall’ultima nota e regredire alla prima. Stroppa le utilizza tutte, queste mutazioni.
In più, il pianoforte, a imitazione della viola d’amore, lascia libere alcune corde di vibrare in simpatia con altre, diventando un «pianoforte d’amore». Nelle note del libretto illustrativo è spiegato bene tutto questo complesso sistema di tecniche e riferimenti culturali, via via dallo stesso pianista, Eric Bertsch, da Oreste Bossini e da illuminanti note esplicative dello stesso Stroppa.

IL BELLO È, però, che ci si può abbandonare all’ascolto, e goderne, pur ignorando l’elaboratissima costruzione dei pezzi, già nel titolo, allusivi anche a immaginazioni extramusicali, restando però quelle musicali le più intense: come la Innige Cavatina (cavatina interiore) che richiama alla mente il quartetto op. 130 di Beethoven, o la Passacaglia canonica, in contrappunto policromatico, che può evocare sia Bach sia Webern sia – in maniera più segreta – la quarta sinfonia di Brahms. Ma ci si chiede: è dunque avanguardia? Che cosa vuole dirci questa musica? C’è oggi, ahimè, oltre a un populismo politico, un populismo culturale, che colpisce, in musica più ancora che nella altre arti, e condanna come inaccettabile, arida, artificiosa, qualunque opera che non sia d’immediata comprensione.

COME IL POPULISMO politico, il populismo culturale è intollerante, autoritario, esclusivo. Non ammette il pluralismo. Non ammette che un artista possa divertirsi a costruire un’opera complicata. Peggio: un’opera non immediatamente comprensibile da parte di tutti. Finnegans Wake di Joyce è la scrittura di un depravato, di un aristocratico radical chic. Ma dove sta la colpa di scrivere qualcosa che pochi possano capire? È comprensibile a tutti l’Allegoria di Giovanni Bellini, o la Divina Commedia? Tuttavia poi, al solito, le cose non stanno affatto in maniera così contrapposta. Questa musica è godibile anche se non se ne afferra la complicata costruzione. Proprio come gli episodi della Commedia emozionano anche se non se ne afferra il significato teologico. Anche perché Bertsch è davvero straordinario nell’investirci con un arcobaleno sterminato di colori sonori. Insomma: abbandoniamoci qualche volta al piacere delle cose difficili. Magari scopriamo che non lo sono affatto.