Una nuova riforma della Rai? Nel programma del governo «giallorosso» si parla genericamente della necessità di «una riforma del sistema radiotelevisivo improntata alla tutela dell’indipendenza e del pluralismo». E’ dunque un obiettivo raggiungibile? «Si tratterebbe di cambiare la legge Renzi e mi chiedo se con l’attuale parlamento sia possibile, visto che la maggioranza è composta da quattro partiti, compreso uno di cui non ricordo il nome ma certamente vive».

La battuta di Roberto Zaccaria con l’allusione a Italia Viva, la nuova formazione guidata dall’ex presidente del consiglio che già sta facendo fibrillare il Conte 2, rimanda direttamente al titolo del suo ultimo libro, Rai: il diritto e il rovescio (Passigli Editori, con prefazione di Paolo Gentiloni). Le norme che regolano la vita del servizio pubblico radiotelevisivo, da una parte, e dall’altra il rapporto patologico tra questo e la politica. Professore di diritto costituzionale e diritto dell’informazione, Zaccaria conosce bene l’azienda e le sue ’evoluzioni’, essendone stato consigliere d’amministrazione per 16 anni (dal 1977 al 1993) e poi, dal 1998 al 2002, presidente. Un esperto di diritto che il «rovescio» lo ha incontrato da vicino, dunque. Preferisce non parlare di «riforma» (termine del resto abusato, visti i risultati non proprio esaltanti anche solo limitandosi al passaggio dalla legge Gasparri a quella Renzi).

Ma, presentando il suo libro nella sede della Federazione nazionale della Stampa insieme a Beppe Giulietti, presidente della Fnsi, e a Lucia Annunziata, la famosa «presidente di garanzia», si chiede se ci siano «le condizioni per rimettere a posto alcune cose» e segnala le questioni cruciali, a partire dal sistema di nomina dei vertici della tv pubblica e di quelli, a cascata – considerando l’«esasperato spoils system» governativo – di reti, testate e, con il piano editoriale dell’ad Salini, delle nuove direzioni di contenuto. E ancora, la «pistola fumante» e mai disinnescata della privatizzazione contenuta nella Gasparri e la pistola scarica, invece, dell’Agcom, priva di un reale potere sanzionatorio. Scuote la testa Annunziata: la pistola dell’Authority per le comunicazioni è fin troppo minacciosa, si «sclerotizza» l’informazione soprattutto in periodo elettorale, quando costruire un programma rispettando il bilancino della par condicio diventa frustrante. Senza contare che, come segnala lo stesso Zaccaria, sono addirittura 16 gli organismi di controllo chiamati a vigilare sulla Rai.

Ma il vero controllo è quello che, sottolinea Giulietti, «le leggi, dal 2004 in poi, consegnano sempre più all’esecutivo». Eppure se si volesse arrivare alla agognata riforma «improntata all’idea dell’indipendenza e del pluralismo», come recita il programma «giallorosso», le idee ci sarebbero: «Esistono vaste convergenze sulle proposte di Paolo Gentiloni, di Roberto Fico e sulla proposta di iniziativa popolare avanzata da Tana De Zulueta. Se ci fosse la volontà politica la riforma si potrebbe approvare in tempi rapidi», insiste Giulietti. La spinta però, secondo Annunziata, «deve arrivare dall’interno» dell’azienda.