«Ci sono piatti ma non appetito», lamenta un incipit di Wisława Szymborska, soffocata in Museo tanto dalla mancanza di eternità in sé quanto dall’horror vacui che la esaspera. Conserviamo fedi e spade – prosegue – quando amore e ira sono perduti. E, così, gli odori. Odeuropa, progetto finanziato dall’Unione Europea e coordinato dall’Università di Amsterdam e dalla storica Inger Leemans, prova finalmente a recuperare il patrimonio culturale trasmesso dall’olfatto, con l’obiettivo di rileggere le vicende continentali attraverso la lente intangibile dei multiformi profumi e delle millanta puzze. Ne discutiamo con Sara Tonelli, specialista di linguistica computazionale e responsabile digital humanities della Fondazione Bruno Kessler di Trento, coinvolta nell’iniziativa.

Qual è la novità del progetto Odeuropa?
Il lavoro, avviato nel gennaio del 2021, è stato promosso con 2 milioni e 800mila euro e durerà tre anni. Al consorzio partecipano storici che hanno già elaborato studi sugli odori del passato. Se ne sono tuttavia occupati in maniera qualitativa, scegliendo all’occasione singoli campi di interesse.
Ora invece si indagherà intensivamente e su larga scala: andremo indietro fino al Seicento, attingendo da archivi di testi e immagini.

Come saranno analizzati i dati?
Cercheremo ogni indizio capace di evocare una situazione odorosa. I colleghi tedeschi sono esperti nell’estrarre informazioni da dipinti e fotografie, tramite algoritmi automatici che isolano gli elementi olfattivi.
Fiori e scene di cucina, per esempio, oppure, in un quadro, una donna che si tappa il naso o un medico che fiuta preoccupato un paziente. A Nürnberg scansioneranno migliaia di immagini già digitalizzate, a Trento setacceremo gli archivi testuali.

Un odore compreso diventa una fonte storica recuperata?
Lo dimostra l’evidenza di una percezione in continua evoluzione. Tecniche di sentiment analysis, confrontando grandi quantità di dati, da lingue diverse e disposti cronologicamente, rivelano se le emozioni loro associate fossero positive o negative. Pensiamo al tabacco: arrivò in Europa con una connotazione esotica; divenne un bene di consumo dal valore neutro; ormai è una puzza, tanto che la società sembra quasi desiderare di purificarsi dal tanfo delle sigarette.

Vi soffermerete su determinate epoche rispetto ad altre?
Una chiave di volta fu la Rivoluzione industriale. Le descrizioni delle città cambiarono allora: si passò dalla menzione di effluvi legati al mondo contadino, ai miasmi del carbone nella Londra di Dickens. Fece la sua comparsa l’inquinamento, anche se l’olfatto dei futuristi avrebbe riabilitato la fabbrica e il treno. Interessanti sono anche le pratiche mediche. All’inizio dell’Età moderna si riteneva che il fetore emanato da una piaga si trascinasse dietro la malattia stessa. Per cui si correva ai ripari bruciando rosmarino e tamponando con tessuti imbevuti di aceto. Sono curiosa di verificare fino a quale punto, durante la peste del Seicento, i vapori delle città fossero alleviati dagli aromi di aceto e rosmarino.

Come saranno fruibili i risultati ottenuti da Odeuropa?
Un’enciclopedia online renderà disponibile quanto raccolto. I partner dell’Ucl di Londra ricostruiranno dalle molecole che li compongono gli odori rilevanti andati perduti, che potranno essere utilizzati nei musei per far rivivere il passato attraverso attività immersive. Ricordo l’esperimento del Rijksmuseum di Amsterdam, dove è stato possibile godersi La battaglia di Waterloo di Pieneman tra l’olezzo dei cavalli, dell’umidità, dell’acqua di Colonia di Napoleone. Questi odori li conosciamo, altri li riporteremo in vita.

Cattivi odori e profumi sono connotati socialmente?
Sappiamo dell’esistenza di pendagli porta essenze: malfidati aristocratici li portavano al collo quando andavano a passeggio, per avvicinarli alle narici in caso di necessità. Ciò che si respirava era un indicatore della classe sociale di appartenenza: i ricchi avevano accesso a incensi pregiati, i poveri dovevano accontentarsi di fragranze più economiche.
Tanti rituali, spesso scomparsi, ruotavano intorno all’olfatto. Nei racconti di viaggio, per caratterizzare il diverso, si faceva abitualmente riferimento allo stereotipo del cattivo odore. I viaggiatori del Grand Tour erano soliti dedicare numerose pagine alla puzza delle città italiane, dai canali di Venezia agli angiporti di Napoli. La voce narrante del nobile venuto dal Nord esplorava questo sottocodice per descrivere un’alterità esotica, probabilmente barbara, certamente folcloristica.