«Secondo ragione, dovrei esser morto; e tuttavia non ho memoria di quella lancinante decomposizione, l’opaca decadenza corporale, né delle smanie interiori, terrori e speranze, che dicono accompagnino il percorso verso la morte; ma sì rammento una tal quale aridità e del corpo e della mente; una neghittosità taciturna, un continuato distogliermi da pensieri gravi, per indugiare su immagini tra povere e sordide, quasi giocassi con le sfrangiate nappe dei miei terrori».

Sembrano memorie dall’oltretomba, ma sono soltanto, a loro modo, confessioni dal sottosuolo, ideate dall’ombra, composte da uno scrittore aduso a «far parlare i morti», e a farlo con la propria voce: Giorgio Manganelli (Dall’inferno, 1985). Almeno se è davvero questo, in soldoni, dar la voce ai morti, uno degli obbiettivi di proporre traduzioni di classici d’altri tempi. D’altro canto, il verbo «to translate», perlomeno in epoca elisabettiana, poteva eccome essere usato per parlare di dipartite; si veda il Clown Touchstone in Come vi piace, che per scongiurare il ratto della propria innamorata Audrey, si rivolge così a William: «I will translate thy life unto death».

Se questo è vero, sarà forse credibile anche il contrario, ovvero che è possibile, a parole, tradurre in vita, dalla sponda degli inferi, chi ne alberghi al di là. Uno dei morti «tradotti al di qua» da Manganelli è anch’egli un re dell’ombra, Edgar Alan Poe. E c’è da credere che se in una fortunata séance ne rievocassimo lo spirito, il poeta e narratore americano ci verrebbe a raccontare di come Manganelli sia stato uno dei suoi medium più affidabili. E ciò proprio perché il nostro, da traduttore, privilegia l’atto ricreativo sul pedante riflettere, per quanto per speculum in enigmate, la mera lettera del testo. Ed è proprio questo a dare alle sue «versioni», ancora oggi, quell’aura modernissima e antica al tempo stesso, in cui scorgiamo tuttora inesauribile vitalità – sebbene come di una «vita-in-morte», direbbe Coleridge.

Tanto più affascinante apparirà, allora, alla luce di quest’ultimo spettro appena rievocato, l’operazione culturale di uno degli editori più interessanti del momento, L’Orma, che di Poe ripropone alcuni esperimenti altamente significativi (La lettera rubata e altre indagini, pp. 125, euro 10,00), e lo fa proprio tramite le parole imprestate al defunto, da un Manganelli maestro della scrittura umbratile: «Subito attorno alla nave è il buio della notte eterna, un caos di acque senza schiuma; ma ad una lega da noi, su entrambi i lati, si scorgono vagamente, discontinue, mirabili muraglie di ghiaccio, che si adergono nella desolazione del cielo, simili alle mura dell’universo».

Siamo verso la fine del «Manoscritto trovato in una bottiglia», come gli altri scritti inclusi nel volumetto, già edito da Einaudi nei Racconti. Ma dal punto di vista del viaggio tempestoso all’interno della letteratura, Poe strizza qui l’occhio proprio all’autore della Biographia Literaria, e ovviamente al suo ancient mariner, rimasto per un misterioso sacrilegio prigioniero di una nave fantasma. E infatti, nel racconto troviamo anche un’allusione ai fatidici Albatros che accompagnano i naviganti, e sembrano condurli verso un destino funesto: «Ed ecco, orrore sopra orrore! Sulla destra e sulla sinistra subitamente il ghiaccio si spalanca, e vertiginosamente ruotiamo, in immensi cerchi concentrici, lungo gli orli di un gigantesco anfiteatro le cui mura affondano il culmine nella lontana oscurità».

Manganelli non solo coglie a pieno tutto lo sgomento di una scena catastrofica, ma aggiunge, tramite le risorse sonore di una lingua che si muove al limitare del baratro, un’evocatività che nel testo originale affiora soltanto: «Oh, horror upon horror! — the ice opens suddenly to the right, and to the left, and we are whirling dizzily, in immense concentric circles, round and round the borders of a gigantic amphitheatre, the summit of whose walls is lost in the darkness and the distance». Se chiediamo alla traduzione di cogliere fin nelle fondamenta un’atmosfera e renderne tutti gli echi, per poi edificarne vorticose cattedrali linguistiche, la prosa di Manganelli è quel che stiamo cercando.

L’esile volume, appartenente alla collana di libri spedibili «I pacchetti», adotta per l’occasione una copertina che invita all’enigma. Il titolo e l’autore sono solo vagamente leggibili in copertina, a meno che non la si ponga a una certa inclinazione contro la luce. A quel punto, tutto si rivela: come nel famosissimo racconto che apre la raccolta, The purloined letter, la lettera rubata o trafugata a dir si voglia.

Qui incontriamo il leggendario investigatore Dupin, mago della soluzione di casi che a tutti appaiono tra i più oscuri, e di cui lui, con raffinatezza e sagacia maggiori del suo discendente Holmes, vede l’assoluta linearità. La lettera rubata è un misto di lucidità, freddezza e calcolo, e non accarezza le corde a Poe predilette della suspense e del tetro. Forse per questo lascia margini minori al traduttore, per traghettarne all’altra sponda lo spirito segreto. Tuttavia, rende del grande scrittore americano un volto altro, quello del meticoloso artefice che nulla lascia al caso, del poeta che nella Philosophy of Composition spiega fin nel dettaglio come costruire effetti, principalmente chiaroscurali, in poesia, tali da attrarre il lettore il quale li considererà affatto naturali e rispondenti a una letteratura che copia la vita, quando invece son costruiti ad arte da una mente cinica e precisissima.

Gli altri due racconti che compongono la selezione sono anch’essi tra i più famosi di Poe, ma non mancano di sfidare la percezione generalizzata che abbiamo di uno scrittore maestro dell’horror. «Mellonta Tauta» è infatti un esperimento di proto-fantascienza che si concede toni apocalittici tipici di tutta una narrativa e una cinematografia novecentesca in cui son mescolati gli insegnamenti di Wells alla saggia capacità di scrutare il futuro di George Orwell. E poi, «Sei stato tu!» («Thou art the man» in originale) è un tipico esempio di narrazione dal gusto gotico à la Poe. Vediamo anche qui la presenza di una lettera ammonitrice e di una misteriosa cassa di vini, che una volta aperta, si rivelerà contenere tutt’altro rispetto al nettare degli dei. Ma al lettore meglio risparmiare la trama, soprattutto sotto le feste.

Questo libro-pacchetto dall’aspetto al contempo elegante e sinistro porta con sé più d’una sorpresa da non rovinare, proprio in virtù di quella oscura forza del narrare che può condurre, come sempre nella grande letteratura, a nuove vite, ma anche a nuove morti: «Verso la fine di quel racconto agghiacciante, le parole dello sciagurato colpevole cominciarono a farsi confuse e fioche. Quando il racconto fu terminato, si alzò in piedi, arretrò barcollando dal tavolo, e cadde a terra, morto».