Nonostante le difficoltà causate dalla pandemia, l’attività espositiva della Collezione Maramotti di Reggio Emilia è sempre stata pulsante, tanto che ha da poco inaugurato (ma a causa del permanere dell’emergenza sanitaria ha dovuto richiudere, in attesa del passaggio della regione di nuovo al colore giallo) l’incantevole site specific How To Be Enough dell’artista ruby onyinyechi amanze (1982, Port-Harcourt, Nigeria), alla sua prima mostra italiana.

FRESCA DI NOMINA, Sara Piccinini che è la nuova e pregevole direttrice, ha già annunciato la programmazione che si articolerà nel 2021. Fino al 16 maggio è in corso – sempre pandemia permettendo – la mostra Mollino/Insides, che presenta opere pittoriche di Enoc Perez e fotografie di Brigitte Schindler e Carlo Mollino. Si intercala ad essa l’appena inaugurata mostra How To Be Enough di ruby onynyechi amanze. Viene riattivato anche il Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery, (dopo la pausa forzata dell’anno scorso) con la residenza e il progetto di Emma Talbot, vincitrice dell’ottava edizione. Ad ottobre si avventurerà il duo artistico Tarwuk, formato dai croati Bruno Pogacnik Tremow e Ivana Vuksic. E, proseguendo la collaborazione con I Teatri di Reggio Emilia, verrà prodotto un site specific di danza contemporanea, della fantastica compagnia belga Peeping Tom (tra l’altro selezionata nella shortlist del Fedora Prize).
La mostra allestita nella Pattern Room è un progetto monumentale composto da quindici fogli di carta che si estendono in altezza e larghezza sulla lunga parete centrale della sala. Amanze, nata in Nigeria, cresciuta nel Regno Unito (vive tra Philadelphia e New York), ha ricevuto nel 2013 il Fulbright Scholars Award in Drawing all’università della Nigeria, si è sempre sottratta a ogni forma di categorizzazione. «Sono cresciuta senza mai identificarmi con nessun singolo paese in particolare. La narrazione dell’identità è sempre stata un mash-up di diverse cose: dove sono nata e dove ho vissuto, dove sono cresciuta io e i miei genitori, ecc. La visibilità della mia carriera artistica era in gran parte collegata alla rinascita della ’Contemporary African Art’. A quel punto, sembrava che non ci fosse spazio per la non-nazione, ero etichettata solo come ’nigeriana’. Non sono contraria naturalmente perché sono nigeriana e mi sento profondamente legata a quella terra e al suo popolo. Ma dall’inizio, mi sono chiesta cosa significhi veramente rivendicare un’identità di un paese, in cui ho passato così poco tempo. I miei disegni parlano di un luogo che esiste senza nome né confini. Gli abitanti, Ada l’aliena, Audre il leopardo, Pidgin, Tritone e altri, non provengono da nessuna parte».

AMANZE LAVORA con tecniche diverse, dalla grafite agli acrilici, fino alle matite colorate, all’inchiostro, alla vernice. La carta cotone su cui disegna è il medium strutturale su cui impianta un immaginario fantastico che si compone di alcune figure principali – come le creature ibride di Ada the Alien e Audre the Leopard – di danzatori, piscine e tuffatrici, motociclette e uccelli dai colori psichedelici e inattesi. Elementi che si avvicendano continuamente nei suoi lavori e che sono installati in una architettura giocosa e magica. Il tutto è spinto da una continua ricerca per piegare lo spazio all’interno di un piano bidimensionale, innestando disegni dinamici, che sembrano muoversi, sovrapporsi e trascendere i limiti dello spazio.

GRANDE APPASSIONATA di danza, l’artista sottolinea: «Sono entusiasta della possibilità di dedicare un po’ di tempo alla ricerca sul movimento, quindi alla danza. Ho praticato il Gaga (il linguaggio del movimento, ndr) in modo informale e di rado per alcuni anni. Sono stata un’atleta per tutta la vita, ma allinearmi con un linguaggio coreografico è un capitolo recente nel mio lavoro. Non vedo l’ora di fingere di essere una ballerina». E amanze, infatti, presenterà una performance presso la Collezione, il prossimo giugno.