È stato El Indio del western nostrano ma anche Aldo Moro, Enrico Mattei e il bandito Cavallero. E non è facile incrociare un attore indipendente quanto Gian Maria Volontè, che oscilla da straordinarie imprese a sdegnati rifiuti, senza dimenticare la sua lotta per i diritti democratici degli attori. Ma il suo «trasformismo», la capacità di creare personaggi che sono rimasti nell’immaginario di tanti, a ben vedere, sono presenti in moltissimi suoi «figli», tanti attori che ne hanno immagazzinato la lezione e cercano di farne tesoro. Così, è veramente un piccolo avvenimento la pubblicazione del libro di Mirko Capozzoli Gian Maria Volonté (add editore, pagine 336, euro 19). Per la sistemazione puntuale di questo protagonista che viene sviscerato anche grazie a tante testimonianze inedite. Ma anche per la chiarezza dello scavo nelle contraddizioni di un artista controcorrente.

UNA CARRIERA iniziata col teatro che lo portò al primo grande successo con l’interpretazione di Rogozin nell’Idiota di Dostojevskij, e proseguita poi col cinema nel 1960 (il suo primo film in una parte secondaria fu Sotto dieci bandiere di Duilio Coletti mentre bisognerà aspettare il 1962 per vederlo protagonista in Un uomo da bruciare dei Taviani e Valentino Orsini).
Tiziana Mischi, sua prima moglie, racconta nel libro una delle vocazioni nascoste di Volontè: «A un certo punto ha iniziato ad accettare solo un certo tipo di film, è stato molto severo, ma in verità aveva una bella vena comica. Si divertiva a improvvisare gag, una volta a Trieste si mise a fare il gobbo di Notre Dame per la strada, fermava la gente».

Ma la sua biografia artistica è costellata di atteggiamenti anticonvenzionali che gli creeranno incomprensioni e rotture, a partire proprio dalla scena e dalla sua avversione al teatro di «tutto riposo, tutto ciprie e minuetti, che si immaginano i funzionari dello spettacolo». E nacque quindi il Teatro Scelta di impegno civile e politico. Ma poi, senza che nessuno potesse prevederne allora il successo clamoroso, esplose la sua interpretazione di Ramòn Rojo in Per un pugno di dollari di Sergio Leone.

E saranno, da allora in poi, interpretazioni memorabili: Il terrorista di Gianfranco De Bosio, Quién sabe di Damiano Damiani, Sbatti il mostro in prima pagina di Marco Bellocchio, Giordano Bruno di Giuliano Montaldo, Todo modo di Elio Petri, Cristo si è fermato a Eboli di Francesco Rosi, Il caso Moro di Giuseppe Ferrara, Porte aperte di Gianni Amelio, Una storia semplice di Emidio Greco. E il ritorno sempre alla grande passione iniziale, il teatro.

MA GIAN MARIA VOLONTÉ ha attraversato anche per intero la storia politica e sociale del nostro paese. Dal rapporto difficile col padre fascista alla sua militanza politica nella sinistra. Un impegno cui pagherà anche dei prezzi salati nell’Italia della fine degli anni Settanta, che non gli perdona, tra l’altro, l’aiuto dato a Oreste Scalzone, fuggito sulla sua barca in Corsica dopo il mandato di cattura del 7 aprile del 1979.
È proprio il verso di Paul Valéry, «le vent se lève… il faut tenter de vivre» («il vento si alza… bisogna provare a vivere»), inciso sull’Arzachena, la barca di Volonté, a darci il senso di un’esistenza appassionata ma «non riconciliata».