Largo e accogliente è il respiro del viaggio di Giulio Ferroni (nato a Roma nel 1943), magnetica l’andatura, acuminato lo sguardo e ostinato (secondo l’accezione di Serge Daney, il più grande critico cinematografico francese dopo André Bazin) su ciò che resta e su ciò che invece è, qui e ora, lungo le strade della penisola, da Trento a Capo Passero, nelle strade, nelle piazze, nei paesaggi campestri e rupestri, nei borghi che furono gloria e vanto di una civiltà, nelle pianure che un tempo dovevano apparire più aperte e ariose, non macchiate da insediamenti industriali, da capannoni, da centri commerciali...