Una Vienna da cartolina – il Danubio, lo skyline della città – ci viene mostrata nelle dissolvenze incrociate della sequenza d’apertura di Brothers of the Night di Patric Chiha, in programma in questi giorni alla trentunesima edizione del Festival Mix di cinema gaylesbico e queer culture di Milano, dopo aver esordito nella sezione Panorama Dokumente della Berlinale 2016.
Da questo momento in poi però Vienna non la vedremo più, per entrare in una storia notturna e in delle vite che sembrano esistere solo dal momento in cui tramonta il sole.

I «fratelli della notte» protagonisti di questo film – che unisce documentario e finzione – sono un gruppo di giovanissimi ragazzi Rom bulgari arrivati a Vienna per lavorare. Il loro «business», come lo chiamano, è prostituirsi per degli uomini più anziani che incontrano in un locale: il Rudiger.
«Ho incontrato questi ragazzi mentre facevo ricerca per un altro film, sempre incentrato sull’omosessualità e l’immigrazione», racconta Chiha, regista autriaco e già autore in Francia – dove vive – di due film: Domaine, storia dell’amore tra una trentenne e un adolescente, e Boys Like Us, il racconto di un viaggio di tre parigini omosessuali tra le montagne austriache.

«Mi hanno subito affascinato, in senso cinematografico – dice ancora Chiha dei suoi protagonisti – Mi ricordavano gli eroi bellissimi e imprevedibili dei lavori di Fassbinder o Pasolini». Sempre sul confine indistinguibile tra realtà e finzione, Brothers of the Night mette in scena appunto le loro notti, i loro racconti – del «business» con i clienti, delle mogli giovanissime come loro in Bulgaria – l’amicizia che li lega e il costante bisogno di stare insieme. Non appartengono a Vienna Stefan, Yonko, Vassili: con la capitale austriaca non hanno legami al di fuori della casa che condividono, delle rive del Danubio e del locale dove incontrano i clienti. E allo stesso tempo non appartengono alla Bulgaria di cui parlano spesso, mostrando le foto della loro vita «altra» su Facebook, ma che è lontana.

Il luogo in cui passano più tempo e nel quale si mettono in scena per il regista è il Rudiger: «Molto simile al bar di Querelle de Brest di Fassbinder: le luci rosse, le lampade kitsch, la musica bulgara con un tocco turco – spiega Chiha – Un posto stranamente fuori dal tempo: squallido e allo stesso tempo glamour. È come essere sul palco di un teatro». Una dimensione teatrale che lui accentua moltiplicando le luci blu e fucsia che investono da ogni angolazione i ragazzi – le sue star – con ciò che vogliono esibire e quello che invece resta nascosto. «Volevo costruire un palcoscenico, uno spazio protetto dove potessero esibirsi con la maggiore libertà possibile».   

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Brothers of the Night è un omaggio a loro, alla vitalità che scorre insieme alla malinconia di dare il proprio corpo senza desiderio – un desiderio che trapela comunque molto forte: non dal continuo parlare di donne – sempre assenti come la luce del sole – ma dall’attrazione che emana dalla vicinanza tra loro, che si cercano a vicenda costantemente.
«Tutto è ambiguo – commenta Patric Chiha – e non era certo mia intenzione portare un ordine in questa situazione, quanto al contrario catturare con le immagini il caos, perché ho la sensazione che racconti qualcosa anche delle nostre vite».