«Habemus referendum!», così sui social network si gioisce per l’ormai prossimo referendum abrogativo firmato «No triv» e diretto a porre un freno, in Italia, al proliferare selvaggio delle piattaforme petrolifere off shore e alla ricerca e all’estrazione di idrocarburi in mare, nelle aree ad alto rischio sismico e in quelle dove sono presenti risorse naturali e paesaggistiche da tutelare.

L’Abruzzo, con decisione di ieri; la Sardegna, con disposizione del 23 settembre, e prima ancora la Basilicata, la Puglia, le Marche e il Molise sono le sei Regioni che, con le proprie delibere, consentiranno ai cittadini di presentarsi alle urne, forse già dalla prossima primavera, senza la necessità di raccogliere 500mila firme. Il referendum è volto a togliere di mezzo l’articolo 35 del Decreto sviluppo (che rende vita facile alle multinazionali del greggio mortificando, di fatto, i territori e il mare) e l’articolo 38 dello Sblocca Italia (sulla democrazia, nel senso che le Regioni e gli enti locali debbono poter tornare a decidere insieme allo Stato).

Il premier Renzi, contestato a ripetizione perché vuole il Belpaese tappezzato di pozzi di petrolio (sono 445 attualmente i procedimenti di ricerca ed estrazione attivati e in itinere), sembra non sentire ragioni e, più volte, ha ribadito che è necessario uno sviluppo legato al petrolio. «Sono venticinque i procedimenti fatti ripartire in tempi relativamente recenti – dice Enzo Di Salvatore, del coordinamento nazionale «No triv» – tra i quali ’Ombrina mare’ sulla Costa dei Trabocchi, in Abruzzo, e ’Vega B’ nel Canale di Sicilia. Ai quali, nel prossimo futuro, si aggiungeranno quelli relativi alle attività di ricerca della società Spectrum Geo: un progetto enorme destinato ad esplorare i fondali dell’Adriatico per 30mila kmq».

In Sicilia la proposta del referendum non è passata: dei 46 voti necessari, solo 38 sono stati quelli favorevoli. Il Pd si è spaccato, ma la maggior parte dei suoi rappresentanti ha votato contro. A favore, invece, e compatti, i grillini. L’Abruzzo, una delle realtà dove la questione petrolizzazione è davvero sentita, soprattutto grazie ad una capillare attività di sensibilizzazione, il voto contrario della politica allo scempio del territorio è giunto ieri, unanime, dal Consiglio regionale. Una mezza baruffa, alla fine, però, l’alzata di mani (perché il voto elettronico non funzionava) è stata tutta contro il petrolio.

Sulla questione, nei prossimi giorni, dovrebbero pronunciarsi anche Campania, Veneto, Liguria e Calabria (da esse ci si aspetta un sì al referendum) e poi l’Emilia Romagna, da cui tutti sono sicuri che salterà fuori un secco no. In alcune regioni amministrate dal Pd si è andati contro le indicazioni del premier. Per ripicca? Per le fratture interne? «Certo – commenta Di Salvatore – , ognuno ha giocato la propria partita, ma l’importante è aver raggiunto il risultato. Adesso organizzeremo un’assemblea nazionale a Roma e costituiremo un coordinamento referendario, coinvolgendo le oltre 200 associazioni che si sono aggregate attorno a quest’iniziativa». Da Legambiente a Italia Nostra a Slow Food, ai Comuni virtuosi, all’Isde-Medici per l’ambiente. Il 30 settembre ci sarà il deposito delle delibere in Cassazione. La decisione della Corte costituzionale, che dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità del referendum, è attesa per febbraio.

Il primo passo è compiuto, ma la strada verso le urne è irta di ostacoli. E poi, come si farà a raggiungere il famigerato quorum? Molti, inoltre, i coordinamenti e i movimenti ecologisti che hanno bocciato l’idea referendaria sul nascere. Perché? «Ci darà in pasto al Pd che farà di noi ciò che vuole», tuonano da più parti. «Per essere precisi… – spiegano invece i «No Ombrina» – in mare attualmente ci sono 88 procedimenti in itinere (escludendo le concessioni già vigenti per le quali sarà possibile continuare a scavare pozzi…). Di questi un terzo (31) sono in tutto o in parte nelle 12 miglia. Dei 31 solo 8 sono totalmente dentro le 12 miglia, mentre 23 parzialmente, per cui, in caso di vittoria con il referendum, sarebbero solamente riperimetrate (piazzando un’eventuale piattaforma a 12,1 miglia…). Inoltre, tra oggi e l’eventuale referendum, alcune delle concessioni potrebbero andare in porto (come Ombrina)… Allora di che stiamo parlando?».