Fu nel 1992: accademici di diversi paesi evocarono per la prima volta il diritto alla «protezione della libertà individuale» per alcune specie non umane. Nacque il movimento internazionale chiamato «Great Ape Project: Equality Beyond Humanity», ovvero «Progetto grandi scimmie antropomorfe: eguaglianza oltre il genere umano». Si riferiva a gorilla, oranghi, bonobo e scimpanzé: gli esseri viventi più vicini all’homo sapiens. Il progetto chiedeva all’Onu una Dichiarazione internazionale per estendere alle grandi scimmie il diritto alla vita. Ma anche il diritto alla libertà.

LA MASSIMA VIOLAZIONE della libertà sono le gabbie, insieme alle catene. Impossibile calcolare quante decine di miliardi di animali nel mondo siano «contenuti» in tal modo. Le cifre sono stratosferiche perfino per gli esseri da «compagnia» che vivono come ergastolani in tante case: in Italia ben 12,9 milioni di uccelli, 1,8 milioni di criceti e affini, 1,3 milioni di rettili e 1,6 milioni di pesci (dati Censis). Sempre nel nostro paese, soltanto in alcune regioni è vietato tenere cani alla catena o su angusti balconcini. Numerose poi le gabbie negli stabulari per la sperimentazione animale e nei relativi stabilimenti per la fornitura delle cavie.

GLI ERGASTOLANI SI CONCENTRANO negli allevamenti da reddito. Carne, latte, uova. E pellicce. La pandemia ha puntato i riflettori sugli allevamenti europei di visoni dove i mustelidi sono stati uccisi in massa per il loro possibile ruolo nel contagio da virus Sars-CoV-2. Le gabbie da pelliccia, benché in diminuzione sono ancora diffuse nel mondo – primeggia la Cina, insieme all’Ue. Secondo una statistica del 2018 diffusa dalla Humane Society, fra visoni, volpi, procioni e cincillà, la cifra totale raggiungeva i 90 milioni di capi. Negli allevamenti a scopo alimentare, i numeri delle gabbie lievitano se si inserisce l’acquacoltura. I pesci sono misurati solo a peso, non a «capo»: 82 milioni di tonnellate secondo il rapporto Fao 2020.

Nella sola Unione europea, tuttora, sono circa 300 milioni ogni anno gli animali tenuti letteralmente dietro le sbarre. Circa 200 milioni sono galline ovaiole (fonte: Ismea) e i restanti 100 milioni sono scrofe, anatre, oche, quaglie, conigli, e vitelli. Una condizione contraria alle regole minime dell’etologia animale, senza possibilità di mettere in atto comportamenti naturali – anche se gli allevamenti intensivi senza gabbie non sono molto meglio. La direttiva 74 del 1999 ha disposto il divieto di utilizzo delle gabbie in batteria per le ovaiole dal 2012.

SPIEGANO ROBERTO BENNATI e Lorenza Bianchi, rispettivamente direttore generale e responsabile allevamenti della Lav, persiste l’impiego delle gabbie cosiddette arricchite, un po’ meno anguste ma dove «l’ambiente resta del tutto innaturale; impossibile razzolare ed esplorare, fare i bagni di polvere, aprire le ali e spiccare salti o piccoli tratti di volo». Impedito il minimo benessere, ma anche l’igiene: «Le gabbie, anche quelle arricchite, non consentono un’ispezione agevole degli animali, prevista dalla normativa almeno una volta al giorno per ciascun individuo, lasciando quindi spazio a situazioni in cui una gallina malata o morta rimane a contatto con le altre». Non dimentichiamo poi che «le altissime densità degli animali tenuti negli allevamenti intensivi a strettissimo contatto tra loro, con identico patrimonio genetico e risposte immunitarie estremamente debilitate dal tipo di vita ed alimentazione che sono costretti a tenere, oltre che dalla selezione genetica, obbligano a un uso massiccio di antibiotici per prevenire l’insorgenza di patologie di origine batterica»; abuso che è alla radice dell’altissimo numero di morti (umani) per antibiotico-resistenza.

Inoltre, l’Italia e altri 13 paesi europei (fra i quali Francia, Spagna, Paesi bassi, Grecia), «pur avendo avuto 12 anni di tempo per completare la transizione e mettersi in regola con la direttiva 74 recepita nell’ordinamento italiano nel 2003, all’inizio del 2012 non avevano ancora adeguato le gabbie per le galline ovaiole secondo i nuovi requisiti previsti dalla normativa sul passaggio alle gabbie arricchite, per cui la Commissione europea ha aperto procedura di infrazione».

OGGI IN ITALIA gli animali ingabbiati sono circa 43 milioni. Di questi, circa 18 milioni sono galline ovaiole. Le scrofe passano almeno metà della loro vita confinate in box di gestazione e poi di allattamento; non possono fare alcun movimento se non alzarsi e sdraiarsi – il tasso di lesioni da decubito è molto elevato. I Impossibile poi attuare i propri comportamenti naturali come creare un nido per il parto e prendersi cura dei suinetti. I conigli allevati in Italia sono circa 21 milioni e, nel 99% dei casi, sono chiusi in gabbie tanto anguste da non consentire loro di estendere il corpo per intero, tanto meno di saltare. I vitelli sono separati il giorno stesso della nascita dalle loro madri, per essere rinchiusi in box singoli.

Fino a pochi mesi fa, solo alcuni Stati membri dell’Unione europea avevano fissato date per la messa al bando degli allevamenti in gabbia, per questa o quella specie: Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Germania, Lussemburgo, Paesi bassi, Slovacchia, Svezia. Precisa la Lav: «Le gabbie per galline ovaiole, scrofe e vitelli sono state vietate già da tempo in Svizzera e più recentemente in California e in 14 altri stati americani».

END CAGE AGE, l’iniziativa dei cittadini europei lanciata l’11 settembre 2018 da 170 associazioni in tutta Europa, con i suoi 1,6 milioni di firme è stata determinante nell’indurre le istituzioni a intervenire. Dopo la risoluzione adottata il 10 giugno 2021 dal Parlamento europeo (558 voti a favore, 85 astenuti e solo 37 contrari) che chiedeva la revisione della direttiva 58 del 1998 sugli animali da allevamento, il 30 giugno la Commissione si è impegnata a eliminare, gradualmente ma entro il 2027, le gabbie negli allevamenti di galline, scrofe, vitelli, conigli, anatre, oche e altri animali in tutti i paesi membri, impegnandosi anche a studiare l’introduzione di regole o standard per i prodotti importati. E il resto del mondo, dove le gabbie sono ritenute una modalità di allevamento in grado di garantire proteine animali a basso costo – benché di qualità inferiore e con un grande peso etico?