Abrogare la legge 194 sull’aborto, e nell’attesa revocare tutti i fondi che permettono alle donne di accedere alla ospedalizzazione gratuita: la Marcia per la vita ieri ha sfilato a Roma, con preti, suore, vescovi e cardinali, a reclamare una decisa inversione di rotta a pochi giorni dai 40 anni della 194, il compleanno è il 22 maggio. Con loro i combattivi Citizen go – che qualche giorno fa hanno tappezzato di manifesti la Capitale: «aborto prima causa di femminicidio» – ma soprattutto politici di peso. Non solo lo scontato Mario Adinolfi, e l’assidua Giorgia Meloni, ma hanno aderito anche due importanti leghisti: il vicepresidente della Camera Lorenzo Fontana e Giancarlo Giorgetti, tra i candidati premier del Governo del Cambiamento.

CON IL CAMBIO DI QUADRO dopo le elezioni, e la nuova possibile maggioranza Cinquestelle-Lega, insomma questi movimenti rischiano di uscire dalla nicchia di ultras cattolici e di influenzare le decisioni politiche dei prossimi anni. Le tesi restano sempre estreme, ma il linguaggio, come nota la sociologa dell’Università di Milano Bicocca Giorgia Serughetti, «si è raffinato per conquistare un pubblico più largo, facendo prima di tutto ricorso alla stessa terminologia dei diritti umani». «Basti pensare – spiega la studiosa – al manifesto affisso a Roma, “aborto prima causa di femminicidio”: ricorre a un termine che ha oggi larga fortuna, e si appoggia strumentalmente alle giuste campagne contro gli aborti imposti in alcuni paesi dove si vuole la nascita di soli maschi».

Il manifestino è stato distribuito in 500 copie alla Marcia per la vita, con gli attivisti di Citizen go che annunciano «l’apertura di una grande stagione di convegni ed eventi territoriali in tutta Italia – definita Operazione Rinascita – per raccontare la verità sull’aborto e sulla Vita nascente, sugli effetti devastanti per la salute delle donne e della stessa tenuta demografica, sociale ed economica dell’Italia. Verrà il giorno – spiega il portavoce Filippo Savarese – in cui ci chiederemo come si sia potuto rendere legale l’aborto allo stesso modo di come ci chiediamo come siano stati possibili i lager e i gulag».

INTANTO TRA I I PRETI IN gruppo come in un film degli anni Cinquanta e le suore in abito grigio e blu si sprecano i cartelli di accusa contro l’«omicidio di Stato», sia alla nascita che in punto di morte: «In 40 anni di 194 ci sono state 6 milioni di vittime», «Aborto ed eutanasia la vita portano via», «Sì alle cure no all’eutanasia». In piazza anche l’associazione Amici di Alfie Evans, il piccolo inglese il cui fine vita recentemente ha rappresentato un caso internazionale. Al fianco dei manifestanti, porporati come il vescovo Luigi Negri e il cardinale Raymond Burke.

Tra le testimonianze dal palco, quella di Margherita, pentita per aver deciso di non far nascere il figlio con sindrome di Down. E la madre del francese Vincent Lambert, tetraplegico, che ha raccontato il conflitto tra famiglia e Stato sulla malattia terminale del figlio: l’ospedale ha disposto che venga sospesa la nutrizione, lei si oppone. Si accusa chi ricorre alla 194 di fare «eugenetica» e «infanticidio con fondi pubblici», esaltando i medici obiettori.

SULL’ALTRO FRONTE, A DIFESA della legge 194, donne e intellettuali di politica, sindacati e associazioni hanno scritto alle parlamentari dell’attuale legislatura la lettera «Le donne sono qui». «Vogliamo celebrare con voi, che siate d’accordo o no – si legge nel testo – i 40 anni della legge che ha dato alle donne il diritto di dire la prima e l’ultima parola sul proprio corpo». Le promotrici si pronunciano contro i «reiterati attacchi alla 194 e alla sua applicazione», sostenendo che «non ci può fare paura l’oscena propaganda che si sta scatenando in questi giorni contro questa legge, che pretende di mostrare le donne come assassine». «È la nostra libertà – concludono – a fare paura».

«Probabilmente la 194 non è a rischio in sé – conclude la sociologa Giorgia Serughetti – ma c’è un movimento culturale sempre più forte e insidioso che cerca di depotenziarla e smontarla dall’interno. Ad esempio reclamando figure che negli ospedali spieghino alle donne i possibili danni di un aborto: informazione che già la legge assicura nel modo corretto, in realtà. E non utilizzano più solo l’argomento del danno al nascituro, ma – come è avvenuto in un convegno dei Provita fatto in aprile con Lega e Fdi al Senato – adesso si concentrano sui possibili danni fisici e psichici per le donne. Così si conquistano sempre più vaste fasce di pubblico».