«Migranti via dai centri turistici»
Lettera ai prefetti In vista del voto il governatore del Veneto agita lo spauracchio della fuga dei turisti. E Toti lo segue
Lettera ai prefetti In vista del voto il governatore del Veneto agita lo spauracchio della fuga dei turisti. E Toti lo segue
Più si avvicina il momento di tornare al voto per i ballottaggi e più la Lega soffia sul fuoco dell’intolleranza. Ieri il governatore del Veneto Luca Zaia ha scritto ai prefetti della sua regione chiedendo di non accettare nuove allocazioni di migranti ma soprattutto di mandare via quelli presenti nelle località turistiche dove, a suo dire, sarebbero numerose le disdette fatte arrivare dalla agenzie turistiche proprio per la presenze dei richiedenti asilo. «Gli annunci delle ultime ore che individuano strutture ricettive e turistiche – scrive il governatore – oltre a immobili di privati cittadini nelle zone del litorale veneto e del bacino termale euganeo quali sedi in cui allocare gli ultimi arrivi di immigrati, stanno facendo aumentare la protesta».
Capito di aver perso la battaglia contro i trasferimenti al nord dei migranti adesso la Lega prova ad agitare lo spauracchio dei turisti in fuga. Cosa che non è avvenuta a Lampedusa negli ultimi dieci anni, dove gli arrivi dei migranti sono stati centinaia di volte più numerosi rispetto alle percentuali venete. La strumentalizzazione del governatore veneto è stata fatta subito sua dal governatore della Liguria Giovanni Toti, anche lui impegnato in una lettera ai prefetti della sua regione in cui chiede le stesse cose di Zaia.
Azioni che hanno portato Pietro Grasso a chiedere di non utilizzare il dramma dei migranti per puri scopi elettorali. «I governatori possono atteggiarsi come vogliono ma bisogna staccarsi un po’ dal momento elettorale», ha detto il presidente del Senato. «Domenica ci saranno i ballottaggi – ha aggiunto – forse la settimana prossima i discorsi saranno diversi. Io non faccio casi personali, non faccio polemiche con nessuno, affermo un principio di difesa di diritti umani e di dignità dell’uomo che dobbiamo sostenere come Paese civile e democratico».
La situazione comunque è delicata. Giù alta da settimane a causa delle protesta dei governatori di Lombardia, Veneto e Liguria, la tensione rischia di salire ulteriormente in queste ore alimentata da quanti vorrebbero chiudere le porte ai migranti e ai quali ieri ha risposto il presidente del consiglio: «Identità, tradizione e radici non sono ostacolo alla globalizzazione», ha detto Renzi. «Oggi molti abbaiano alla luna, vivono sulle paure e pensano che la soluzione sia chiudersi a chiave in casa, ma non è così». La necessità di assicurare «sicurezza e legalità», ma anche di accogliere chi «è disperato» è stata sottolineata anche dal presidente della Conferenza episcopale Angelo Bagnasco. «Sono doveri che vanno messi insieme e convivere – ha detto il cardinale – perché se una società si chiude nella paura e non garantisce la sicurezza per tutti non è una comunità di vita e di destini ma un insieme di interessi dove vince chi è più forte».
Prosegue intanto in Europa lo scontro sul piano di ricollocamenti proposto dalla commissione Juncker e contestato da un gruppo di paesi guidati da Francia, Spagna e Gran Bretagna. Ieri iun documento della presidenza lettone del Consiglio Ue ha elaborato un documento in vista della summit dei ministri degli Interni del 16 giugno prossimo in cui si ricorda come uno dei punti contestati sia l’obbligatorietà per gli Stati membri di accogliere i richiedenti asilo, ma anche «i numero totale delle persone da ricollocare, i fondi a disposizione e le capacità delle strutture degli Stati».
Il vero problema è il criterio di obbligatorietà che molti, a partire dalla Spagna vorrebbero cancellare per basare le ricollocazioni sulla semplice volontarietà. ma che la commissione europea non sembra intenzionata a modificare.« Difenderemo la nostra proposta fino all’ultima parola», ha ripetuto anche ieri il portavoce della commissione Margaritis Schinas smentendo così anche l’ipotesi, circolata ieri, di un piano alternativo a quello già proposto. «In Europa per ottenere risultati bisogna battersi», ha detto ieri il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni che si è comunque mostrato ottimista sull’esito dello scontro in seno all’Unione europea. «Bisogna lavorare per regolarizzare la situazione. Il governo ci sta lavorando e mi pare che la situazione si stia normalizzando».
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