Il vetro d’arte boemo ha una lunga storia, che affonda le radici nel cristallo inciso e molato tra Sei-Settecento. Fu, però, durante l’Impero asburgico che ebbe un importante impulso, quando alla metà del XIX secolo alcuni industriali viennesi localizzarono parte della loro produzione nella Boemia settentrionale. L’abilità artigiana si combinò così con le ultime tendenze artistiche viennesi, che avevano il loro centro di diffusione nella Scuola di arti applicate (Kunstgewerbeschule) e nel Museo Imperiale e Reale Austriaco per l’Arte e l’Industria, diretto dallo storico dell’arte moravo Rudolf Eitelberger. Grazie al suo interessamento, nel nord della Boemia, dalla seconda metà dell’Ottocento, si stabilì il design artistico del vetro con tre scuole professionali.

In seguito, con la nascita della Secessione (1897), fecero ingresso alla Kunstgewerbeschule alcuni suoi membri, Josef Hoffmann, Koloman Moser e Alfred Roller (Otto Wagner all’Accademia di Belle Arti). Il vetro divenne uno dei materiali preferiti dagli architetti e artisti modernisti e, di seguito, le vetrerie boeme divennero le premiate rappresentanti del rinnovamento delle arti (Reformkunst) nelle esposizioni internazionali: Vienna 1900, Colonia 1914, Parigi 1925.

Anche durante e dopo la seconda guerra mondiale, un gran numero di artisti continuarono a creare oggetti unici. Ciò accadde anche quando, con la Liberazione, i tedeschi dei Sudeti furono cacciati e i vetrai, gli impresari e gli insegnanti tedeschi furono sostituiti con brutale risolutezza. La «politica di colonizzazione» funzionò anche per la circostanza che nel 1939 i nazisti, occupata la Cecoslovacchia, avevano chiuso le università, fuorché l’Accademia di Arti, Architettura e Design di Praga, e un gran numero di studenti vi si era riversata per apprendere l’arte del vetro con maestri-artisti di valore: Jaroslav Holecek, Karel Štipl e in particolare Josef Kaplický.

Così nella Cecoslovacchia socialista non si smise di produrre vetri tradizionali e artistici, questi ultimi furono il campo di sperimentazione di nuove forme e tecniche. Il vetro divenne per la CSSR un’opportunità per incamerare valuta pregiata e un ottimo argomento di propaganda. Pur sotto un vigile controllo e le restrizioni della guerra fredda, non si smise di inventare pezzi unici, senza essere sottomessi al realismo socialista. Tuttavia, gli insegnanti subirono ingerenze dall’alto, peggiorate nel 1968, con l’ingresso a Praga delle truppe del Patto di Varsavia. Solo nel 1989 il cambio di regime portò i mutamenti tanto attesi.

La mostra Vetro boemo: i grandi maestri, ospitata fino al 26 novembre alle «Le Stanze del Vetro» della Fondazione Cini, nell’ex convitto dell’Isola di San Giorgio Maggiore, chiarisce in modo esauriente l’eccellenza raggiunta dai maestri nati nei primi decenni del Novecento e pionieri del vetro ceco contemporaneo. Curata da Caterina Tognon e Sylvia Petrová, si apre con il Banchetto (1960) di Miluše Roubícková (1922-2015), una tavola imbandita con sessantacinque elementi in vetro soffiato multicolore tra vasi, piatti, bottiglie e barattoli ricolmi di frutti, fiori, pietanze, dolci e frutta, che sono un trionfo di fantasmagorici riflessi in contrasto con il trasparente Lampadario-nido (1966) di suo marito, René Roubícek (1922-2018), che al di sopra sembra liquefarsi come le uova cotte di Miluše che, poste sul bordo del tavolo, sono una citazione degli «orologi molli» di Dalì. La coppia si distingue per la sua autonomia tecnica e stilistica: lei orientata sul vetro soffiato a caldo e sui temi del quotidiano resi con spiritosa grazia, lui rivolto a prediligere l’astrazione nell’esecuzione con il vetro modellato a caldo di protuberanze vetrose in strutture verticali tenute da barre di metallo, come nelle Colonne (1964-’67).

La tendenza astratta ritenuta più radicale e indipendente si trova in Václav Cigler (1929), precursore nel campo del vetro ottico, nel quale il rigore minimalista è raggiunto non per procurare effetti sorprendenti, ma per consentire all’osservatore, come si chiarisce nella sua scheda in catalogo (Skira), di interloquire con l’ambiente in condizioni non convenzionali. Insegnante e fondatore presso l’Accademia di Belle Arti di Bratislava della cattedra per le applicazioni del vetro in architettura, Cigler ha rappresentato un’alternativa alla tendenza internazionale del vetro artistico anglo-americano (Studio Glass Americano) e italiano, come dimostrano i suoi Studi Spaziali e Composizioni spaziali realizzati negli anni ottanta e le opere in cristallo ottico tagliato e lucidato, tra le quali spicca il Quadrato con spirale (1970), e le più recenti: Piramide blu, Cono e Sfera.

Altrettanto anticonvenzionale è Vladimír Kopecký (1931), artista con una personalità eclettica. Nella sua stanza sono accostati vasi di raffinata esecuzione in vetro soffiato e dipinto degli anni sessanta, insieme a tre formelle astratte di vetro piano monocromo dipinto e sabbiato, Corridoio (blu), Corridoio (rosso), Corridoio (bianco), che contrastano con l’ingombrante assemblage di lastre di vetro, cavi e attrezzi vari cosparsi di pittura gocciolante dell’installazione Desiderio (2021), rientrante tra i «brutti vetri» dei quali provocatoriamente si compiace.

La mostra termina con Stanislav Libenskýe (1921-2002) e Jaroslava Brychtová (1924-2020), una coppia che congiungerà i propri percorsi artistici intorno agli anni sessanta con impegnative opere in vetro per l’architettura (vetrate nella Cattedrale di San Vito a Praga, 1968; Cappella dello Spielberg a Brno, 2020). Le loro sculture, eseguite con la tecnica del vetro fuso in stampo aperto, possiedono una rara forza attrattiva data dalla tettonica (Vetrate per la sede dell’Unione Ferroviaria Internazionale di Parigi, 1964), dalla dimensione (T-Spazio, 1999-2004) e dalla configurazione spaziale (Angelo disteso, 1999-2000), forrza che non può ottenere che tutta la nostra ammirazione. Gli scatti fotografici in bianco e nero di Josef Sudek, dal ciclo Labirinti di vetro (1963-’72), eseguiti nel suo appartamento praghese, non fanno che confermare quanto il «vetro è materiale della luce – come disse Cigler –, un materiale unico e insostituibile».