Aspettando il vertice di lunedì a Helsinki tra Trump e Putin, a Mosca degli attacchi di Trump alla Germania non si è voluto far parola («Merkel è abbastanza grande per difendersi da sola» è la parola d’ordine in queste ore al Cremlino). Nel suo briefing settimanale Marya Zacharova, portavoce ufficiale del ministero degli esteri russo, ha voluto però dare un giudizio complessivo sul Summit della Nato di Bruxelles. «Non vorrei essere troppo rozza – ha esordito la diplomatica – ma mi sembra che tutto il gioco sia quello essenziale di puntare a lucrare sulla difesa.

Per Zacharova, dietro le grandi chiacchiere strategiche è venuto fuori il piccolo cabotaggio degli americani «che passano da ogni paese con il cappello in mano a chiedere di quanto aumenteranno la loro quota». Insomma dopo tante parole sul «pericolo russo, gli Usa, come avventurieri, si dicono pronti sì a una strenua difesa dell’Europa… ma per soldi», ha ironizzato la portavoce di Sergey Lavrov. E «vogliono metterci sulla strada della corsa agli armamenti» ha concluso.

«Non sappiamo quale sia l’obiettivo finale degli Usa e quanto sia realistico», osserva Vasily Kashin responsabile dell’Istituto per la ricerca europea e internazionale di Mosca. «È possibile che Trump sia rimasto con la testa alla Guerra Fredda – continua lo studioso – ma a quel tempo per paesi europei come la Francia, era normale mantenere un livello di spese militari al 3,5%». Per Kashin i tempi però sarebbero mutati e dato il livello di debito pubblico in relazione al Pil di molti paesi europei, «questi non potrebbero mettersi su quella strada neppure se volessero».

Che l’obbiettivo principale della Nato sia quello di stendere una «cortina di ferro» attorno alla Russia, non riescono a toglierselo dalla testa a Mosca dopo che anche la Macedonia si appresta a entrare a far parte dell’Alleanza con il beneplacito di Atene e altri paesi bussano insistentemente alla porta della sede della Rosa dei Venti. Nella riunione di ieri tra i vertici dell’Alleanza e i rappresentanti di Georgia e Ucraina, si è discusso su come accelerare il processo di integrazione nella Nato dei due paesi ex-sovietici. Il premier georgiano Mamuka Bakhtadze, in particolare, ha espresso fiducia che alla Nato apprezzeranno i progressi del paese sulla via delle riforme che avvicinano il suo paese agli standard dell’Alleanza.

«Sono sicuro che i nostri amici di Bruxelles potranno apprezzare i progressi che abbiamo fatto in questa direzione» ha affermato Bakhtadze, riferendosi al fatto che la Georgia, uno dei paesi più poveri di tutto il continente, sta aumentando a dismisura di anno in anno le sue spese militari.

«La Nato e la Georgia prenderanno in considerazione l’espansione della cooperazione per la sicurezza nella regione del Mar Nero. Abbiamo anche in programma di condurre esercitazioni congiuntamente con la Nato il prossimo anno», ha aggiunto Bakhtadze. La conferma di questi passi avanti nelle relazioni tra Nato e Georgia è arrivata da Jens Stoltenberg Segretario generale dell’Alleanza atlantica, secondo cui «la Georgia continua a lavorare per la partecipazione a rotazione del proprio contingente all’interno delle unità della Forza di Risposta della Nato (Nrf)».

La funzione di provocazione anti-russa del paese caucasico si avverò nell’agosto del 2008: l’allora presidente georgiano Michail Saakashvili fece inabissare il suo paese in un conflitto in Ossezia del Sud che provocò l’intervento militare russo e che si concluse in un disastro georgiano. Uomo nella manica del Pentagono, Saakashivili, dopo aver dovuto abbandonare il suo paese per corruzione, divenne consigliere del presidente ucraino Poroshenko, poi governatore di Odessa e, infine, leader di un fantomatico «Movimento delle Forze Nuove» che intendeva rovesciare lo stesso Poroshenko. Espulso anche dall’Ucraina “Misha”, come lo chiamano i suoi sostenitori, gira ora per l’Europa nella speranza che a qualcuno servano ancora i suoi «servigi».