La scoperta delle onde gravitazionali è una delle maggiori conquiste scientifiche degli ultimi decenni. Grazie all’eccezionale risultato, il team di ricerca Ligo-Virgo ha vinto il premio Nobel per la fisica nel 2017. Eppure, nel 2018 l’illustre cosmologo Andrew Jackson ne ha messo in discussione la validità dopo aver ripetuto l’analisi sui dati originali forniti dai ricercatori – per essere poi smentito da ulteriori ricerche indipendenti basate sugli stessi dati. I dati originali, per l’appunto: si chiamano anche dati “grezzi” perché sono i risultati nudi e crudi degli esperimenti prima ancora di essere elaborati. Solo questi permettono di riesaminare una scoperta e controllarne la validità. In molte scienze “dure” come la fisica ormai è diventata una regola: anche il più bravo degli scienziati deve mettere a disposizione dei colleghi i dati grezzi perché possano ripetere l’analisi.

La questione della disponibilità dei dati ora si pone anche per i vaccini anti-Covid. Sull’efficacia dei vaccini prodotti da Pfizer, Moderna e altre aziende conosciamo solo comunicati aziendali. Le agenzie regolatorie, però, esamineranno tutta la documentazione fornita dalle aziende prima di approvare un vaccino per “uso emergenziale” (la dicitura Usa) o con una “autorizzazione al commercio condizionata” (la versione europea).

Le case farmaceutiche dovranno riferire i metodi di analisi, i risultati principali e fornire anche i dati grezzi sui singoli casi, resi anonimi per la privacy, se le agenzie li richiederanno. Non tutte lo fanno di routine: «La Fda riceve informazioni più dettagliate rispetto alle altre agenzie, compresa quella europea», spiega Peter Doshi, ricercatore sulla trasparenza dei dati sanitari all’università del Maryland. «La Fda ha le risorse per analizzare i dati al livello del singolo partecipante», un potere che non tutte le agenzie hanno.

In genere le società farmaceutiche non svelano volentieri i dati grezzi su farmaci e vaccini. Lo dimostra la battaglia che nel 2009 circondò il farmaco anti-influenzale Tamiflu prodotto dalla Roche, di cui i governi di tutto il mondo accumularono scorte per centinaia di milioni di dosi (e qualche miliardo di dollari) durante la pandemia di influenza suina. Desiderosi di verificare l’efficacia reale di un farmaco tanto ricercato, Doshi e il collega Tom Jefferson della collaborazione Cochrane impiegarono quattro anni per ottenere i dati grezzi dalla Roche. Ricevettero 150 mila pagine di dati, una pila di carta alta sei metri che richiese mesi di lavoro per l’analisi. Alla fine, dall’analisi di Doshi e Jefferson emerse che il farmaco non riduceva il numero di ospedalizzazioni. L’Oms declassò il Tamiflu a «farmaco complementare».

L’importanza dei “dati grezzi” è dimostrata anche dalla reazione della comunità scientifica nei confronti di un altro vaccino anti-Covid, lo Sputnik V sviluppato in Russia. Per verificare l’efficacia sbandierata dagli scienziati russi sulla rivista Lancet, un gruppo di ricercatori italiani ha presentato ben 4 richieste di accesso ai dati originali (tutte respinte). «Durante l’attuale pandemia, l’interesse pubblico e le aspettative nei confronti di un vaccino efficace sono comprensibili» ha scritto sempre su Lancet Enrico Bucci, uno degli scienziati “impiccioni”. «Le stesse ragioni dovrebbero spingere la comunità scientifica a maggiore attenzione nei confronti delle evidenze scientifiche e dei dati originali. Perciò, la loro piena disponibilità riveste la massima importanza».

Neanche la Pfizer ha fretta di mostrare al pubblico i dati sul suo vaccino anti-Covid, uno dei più vicini all’approvazione. Il protocollo della sperimentazione sul vaccino recita: «Pfizer metterà a disposizione i dati [sui singoli volontari] 24 mesi dopo la conclusione dello studio». Secondo i documenti presentati per la registrazione della sperimentazione sul sito clinicaltrials.gov, questo avverrà nel gennaio del 2023, perché lo studio comporta due anni di follow-up dei partecipanti. Dunque, i dati non saranno mostrati al pubblico prima del 2025. A quel punto, il vaccino sarà già stato somministrato a miliardi di persone. In più, sempre secondo i documenti forniti da Pfizer, l’accesso ai dati sarà negato a chi ne chiederà l’accesso per ragioni legali, cioè in caso di controversie giudiziarie. Sono condizioni che nessuno scienziato accetterebbe, in altri settori della ricerca.

Alle agenzie regolatorie, però, le case farmaceutiche i dati dovranno mostrarli, compresi quelli “grezzi”. Non potrebbero essere proprio le agenzie a metterli a disposizione della comunità scientifica? In fondo si tratta di documenti in possesso di enti pubblici, tenuti alla trasparenza nei confronti della cittadinanza. In questa situazione eccezionale, l’Ema ha annunciato di voler osservare regole di trasparenza altrettanto straordinarie: «Tutto quello che noi utilizziamo per prendere la nostra decisione sarà disponibile per la comunità scientifica 10-15 giorni dopo l’approvazione», ha detto Guido Rasi alla fine del suo mandato di direttore esecutivo dell’agenzia, scaduto il 13 novembre. D’altronde all’Ema si discuteva di aumentare la trasparenza verso il pubblico già prima della pandemia.

Nelle  linee guida sulla condivisione dei dati introdotte a marzo 2019 si legge che «la trasparenza è una preoccupazione prioritaria nella funzione che l’agenzia svolge nei confronti dei pazienti e della società». Ma quando si parla di mettere a disposizione anche i dati grezzi, le linee-guida riferiscono che l’Ema «troverà il modo più appropriato di renderli disponibili, in conformità con le leggi sulla privacy e sulla protezione dei dati» in una non meglio specificata «seconda fase». Di questa seconda fase, da allora, sembrano essersi perse le tracce. Il manifesto ha contattato via mail più volte l’Agenzia per sapere se i dati grezzi sui vaccini saranno messi a disposizione del pubblico, senza ricevere alcuna risposta.

Altri ricercatori, invece, sono scettici sull’utilità dell’accesso ai dati grezzi. «La disponibilità dei dati grezzi in sé non aiuterebbe granché, perché richiede una notevole capacità di analisi ed è facile commettere errori» spiega Antonio Addis, che oggi dirige l’unità di epidemiologia del farmaco al Dipartimento di Epidemiologia della regione Lazio e che per diversi anni ha lavorato nei comitati di valutazione dell’Ema. «Concentrandosi sui dati grezzi si dimentica di un altro aspetto: oggi gli enti regolatori valutano quasi esclusivamente i dati forniti dalle aziende produttrici dei farmaci. Ma ci sono altre fonti di dati, come università, centri di ricerca pubblici e privati, fondazioni. Le agenzie regolatorie potrebbero recuperare il loro ruolo critico mettendo a confronto i dati forniti dalle aziende con tutte le evidenze a disposizione su un certo prodotto».

Dunque non è vero che i vaccini verranno approvati senza evidenze scientifiche, come ha erroneamente sostenuto qualcuno. Ma difficilmente la comunità scientifica potrà effettuare un controllo indipendente approfondito in tempo utile. «Dieci anni fa la nostra battaglia sul Tamiflu è servita a ottenere maggiore trasparenza» riflette oggi Tom Jefferson. «Ma oltre alla trasparenza, oggi c’è anche un problema di fiducia nelle istituzioni. Coloro che sono ideologicamente contrari alle vaccinazioni si nutrono di questo: dalla segretezza alla teoria del complotto il passo è breve».