Ci sono spettacoli che nel tempo crescono e svelano altre facce del proprio senso. Non accade sempre, ma è il caso de La rivolta degli oggetti di Vladimir Majakovskij, che nel 1976 rivelò un gruppo di giovanissimi che poi hanno acquisito la propria celebrità, e che ora sono tornati, proprio per riprendere quel loro primo titolo, a lavorare insieme sotto l’antica ditta della «Gaia Scienza» (al teatro India per Romaeuropa festival fino al 3 novembre).
Giorgio Barberio Corsetti, Alessandra Vanzi e Marco Solari nel 1976 letteralmente esplosero nell’underground del quartiere Prati, al Beat 72 di Simone Carella e Ulisse Benedetti, e fecero esplodere anche una nuova spettacolarità, che allora poté sembrare tanto innovativa da rischiare l’azzardo, e che invece ben presto divenne lingua comune e massiccia di una intera e importante generazione di artisti, e poi di quelle successive. La Gaia Scienza sfondò la parete plumbea che ancora divideva il teatro dalla danza, la parola dal corpo, il gesto dal senso.

QUEL PUBBLICO romano, pure evoluto e informato, conosceva allora al massimo il desequilibre di Eugenio Barba, ed era ancora all’oscuro del cammino che intraprendeva in quegli anni a Wuppertal Pina Bausch. Aveva avuto modo di intravedere le avanguardie, europee e americane, in occasioni meritorie (dal Premio Roma promosso dai coniugi Guerrieri alla fondamentale Contemporanea realizzata da Graziella Lonardi in un altro luogo altrettanto underground, il parcheggio di villa Borghese) e apprezzava ovviamente il Living Theatre. Ma quei tre ragazzi, in senso letterale, veicolavano le parole della poesia rivoluzionaria russa (il testo era stato fortemente censurato, negli anni di Odessa, dal governo zarista) attraverso una totale libertà dei corpi: le tecniche di Steve Paxton erano citate e reinventate per esprimere la compressa insoddisfazione di una generazione che vedeva richiudersi sulla propria pelle e nel proprio orizzonte l’apertura del ’68. Insomma quella Rivolta egli oggetti (e non solo) fu davvero una visione epocale.

ORA, TANTI ANNI dopo, quello spettacolo mantiene ancora una carica di vitalità e intelligenza davvero impressionanti. Non per meri motivi celebrativi, ma perché ora, in un linguaggio ormai acquisito nel gusto del pubblico, si colgono ancora più forti le grida che il testo di Majakovskij contiene e sprigiona. I tre giovani interpreti sui quali Barberio, Vanzi e Solari hanno lavorato, esprimono vitalità e bisogni e lucidità, molto legati all’oggi, senza nessuna vena nostalgica. Quella cupola di problemi, insoddisfazioni e desideri repressi, grava oggi più di ieri nel nostro quotidiano, sebbene in forme solo apparentemente più disinvolte e patinate. I tre giovani interpreti Dario Caccuri, Antonio Santalena e soprattutto Carolina Ellero (una promettente rivelazione) portano con la loro vitalità una vera sferzata sul palcoscenico dell’oggi. Dove mantengono (appena storicizzata) un senso e un fascino forte le corde, le scale e gli altri oggetti scenici che oggi come allora ha creato Gianni Dessì. A fine spettacolo, non è il ricordo, per quanto struggente, a prevalere, quanto la sensazione di una apertura al futuro, che Majakovskij e la Gaia Scienza ci indicano ancora come bisogno di radicale cambiamento.