Il quipu («nodo» in quechua) nella cultura preincaica e incaica, è un sistema di cordicelle di lana e cotone su cui vengono annodati significanti. Si pensava servisse solo per preservare dati contabili, ma più recentemente gli sono stati riconosciuti segmenti di discorso. Il più antico ha 5000 anni e i registri di alcune comunità andine indicano che agli inizi del XX secolo era ancora in uso.

Nel 1964, alla Biennale di Venezia, Jorge Eduardo Eielson, tra i più innovativi e interdisciplinari artisti peruviani (pittore e scultore oltre che poeta e prosatore), espose per la prima volta i suoi Quipus. Era stato alunno del grande indigenista José María Arguedas, che lo iniziò alla scrittura e all’antica cultura inca, e dei nodi fece il filo rosso della sua arte, perché – disse – hanno a che vedere con il cosmo e con la vita.

Eielson avrebbe voluto che il titolo, per il suo volume di poesie, fosse uno spazio bianco: il compromesso che ottenne dal suo editore fu Senza titolo (a cura di Martha L. Canfield, edizioni Fili d’Aquilone, pp.131, € 15,00) per poesie anch’esse senza titolo, il cui primo verso l’autore chiese che fosse di un colore rossastro sul fondo bianco della pagina, perché – come spiega un suo verso – «il silenzio si disegna».

Ogni riga è un principio che merita una maiuscola e anche la punteggiatura è disciplinata: il respiro del verso si trascrive sulla pagina di nuovo in uno spazio bianco, d’altronde, scrive Eielson, «I libri che preferisco non sono di carta/ Bensì d’erba – di legno/ Di alabastro – di misteriose materie/ Che forse non esistono».

Se non c’è traduzione perfetta, c’è tuttavia la possibilità di un traduttore perfetto nel suo ruolo, che compensa ogni inevitabile perdita, espande l’originale, fa germogliare la lingua d’arrivo su quella di partenza: Martha Canfield, fondatrice assieme a Mario Vargas Llosa di un Centro Studi Eielson per la diffusione della cultura ispanoamericana, è protagonista della eccellente traduzione di questo Senza titolo.

Nella sua versione, la poesia ci viene restituita senza intermediari, i versi appaiono ripuliti, sfrondati, essenziali come il buddismo zen che Eielson aveva scoperto dopo l’incontro a Parigi con Taisen Deshimaru.
Il suo misticismo ha inizio qui, nelle cose piccole, negli utensili del quotidiano («Il mio cuore è un berretto scarlatto»), nei movimenti moderati («Appoggi delicatamente la testa») e nelle azioni franche («Bere un bicchiere d’acqua è un fatto/ Luminoso»).

La poesia, come l’arte, prospera nella migrazione: non a caso, Jorge Eielson visse in diverse città – «Tutto è Parigi per me/ E Roma è anche New York/ O Lima. Dappertutto io respiro» – e scrisse le poesie che compongono Senza titolo tra il 1994 e il 1998 a Milano, città in cui gli uomini «Guidano uno squalo/ Invece di un’automobile» e dove si era trasferito sin dagli anni Settanta assieme al suo compagno di vita, l’artista Michele Mulas.