La protagonista di Madame (Bompiani, pp. 144, euro 15), il nuovo romanzo di Mauro Baldrati, è Veronique Fourier, settantanovenne baronessa, ex cocotte, appassionata lettrice, stanca della vita, sopravvissuta al suo tempo perduto, ma che contiene uno scrigno pieno di segreti, riflessioni, racconti, desideri, memorie. Scrigno che aprirà al giovane ventitreenne Marcel Proust, ancora in cerca della sua vocazione, che si presenta a Veronique, durante un ricevimento, per farsi raccontare i ricordi legati a Charles Baudelaire, che lei aveva conosciuto e su cui lui vorrebbe scrivere un saggio. Come aveva saputo il giovane scrittore della sua relazione con Baudelaire? Nessuno ne era a conoscenza, così come nessuno in quei salotti conosceva la profondità e gli abissi del suo essere, dove si intrecciano passioni, ricordi, desideri.

IL LINGUAGGIO del romanzo riesce a far calare il lettore nell’atmosfera della Parigi della Belle Époque e la descrizione del corteggiamento di Proust a Madame sembra essere tratta da un passaggio non scritto della Recherche. Baldrati coniuga un’accurata ricerca storica e invenzione creativa, entrando nel periodo con riferimenti storici e letterari verificabili e nello stesso tempo inventando situazioni verosimili. Con estrema delicatezza e lievità l’autore riesce a lavorare sulla lingua e sulla verosimiglianza storica dei dialoghi, e a intrecciare rimandi – letterari ma anche artistici: Delacroix, Degas, Courbet, Forain – che ben definiscono l’ambiente visivo dell’epoca. L’ambientazione è perfetta, i personaggi sono tratteggiati in maniera impeccabile.
Se, nel Pranzo di Babette, racconto di Karen Blixen e poi film di Gabriel Axel, per la protagonista la fuga dalla repressione della Comune di Parigi è un’isola sperduta del Nord Europa e l’arte culinaria, per Madame Veronique – che aveva simpatizzato per la Comune – la fuga dal peso dell’età e dai lustrini della Belle Époque è rappresentata dalla vivificazione dei ricordi e dall’interessamento di Marcel Proust per la sua vita.

Gli incontri con il giovane scrittore le infondono una nuova vitalità, da quel momento torna a frequentare la vita sociale e a rinnovare la casa, aspetto che segna il passaggio psicologico dalla rassegnazione a nuovi desideri e progetti. Nella storia emerge anche la figura di Henri Fourier, defunto marito di Madame, generale bonapartista, che viene rievocato come riferimento sicuro, àncora salda nel mare tempestoso della vita bohemien. L’autore è abile nel gioco dei rimandi: società, arte, vita, morte, sessualità, sogni, desideri, attraversano i personaggi e la storia, in fondo il periodo storico è anche quello della psicoanalisi. Seduti nella penombra del salotto, Veronique e Marcel si confidano, in un dialogo commovente, si aprono, lei sopravvissuta di un tempo estinto, sapiente conoscitrice dell’animo umano, lui perso nella ricerca di storie, nello studio dei sentimenti, nell’estenuante parto della creazione artistica.

LA MEMORIA – sembra dirci Baldrati – confonde il vero con l’immaginato e non è dunque sufficiente a descrivere la realtà: «Ma un dubbio prese ad assillarla. I ricordi erano nitidi, poteva quasi sentire i suoni di quelle giornate, di quelle notti. Aveva rivissuto alcune scene. Ma rivivendole, forse le aveva modificate. Le aveva adattate, completate, per renderle più reali, soprattutto a se stessa». Proprio come sostiene Gilles Deleuze nel suo saggio dedicato a Proust: «in cosa consiste l’unità di Alla ricerca del tempo perduto?», e continua: «sappiamo almeno in cosa non consiste. Non consiste nella memoria, nel ricordo, seppur involontario», è invece «un telescopio psichico per una astronomia appassionata». Anche il romanzo di Baldrati è un telescopio psichico dell’astronomia delle passioni.