Ci sono tanti italiani come me – cittadini impegnati nell’associazionismo ecologista, imprenditori della green economy, generici elettori sensibili ai temi ambientali – che in qualunque Paese d’Europa si riconoscerebbero nei Verdi e che in Italia nemmeno li votano.

Nasce da questa premessa, di un’evidenza persino banale, l’ennesimo flop elettorale dei Verdi italiani. Perché di flop si tratta: poco più del 2% di voti, la marea verde europea che al di qua delle Alpi si è ridotta a rigagnolo. Capisco la tentazione di attribuire questo risultato così modesto a fattori esterni: i media poco attenti alle questioni ambientali, gli italiani che non brillano per coscienza ecologica… Ma le cose non stanno così.
Giornali e telegiornali, che pure sul tema sono stati a lungo più pigri e distratti dei loro omologhi europei, ormai parlano di ambiente abbondantemente.

Gli italiani hanno più volte dato prova di un forte, diffuso, sentimento verde: come nelle vittorie schiaccianti dei referendum contro il nucleare e per l’acqua pubblica. Ciò che è mancato quasi sempre è la traduzione di questa opinione in scelta politico-elettorale, e la ragione non può che dipendere in larga misura dal tipo di offerta politica ecologista.

Come in tutta Europa anche da noi i Verdi sono nati, negli anni ‘80 del secolo scorso, dal seno della sinistra radicale, dando voce politica al neonato movimento ambientalista che metteva sì in discussione molti “teoremi” dell’estrema sinistra novecentesca – a cominciare dal mito della crescita economica lineare e illimitata – ma da essa mutuava linguaggi e discorsi essenzialmente di protesta, di ribellione.

Da allora il mondo è cambiato parecchio, la sinistra classica di derivazione socialista – sia radicale che moderata – è in crisi verticale quasi dappertutto, e hanno cambiato decisamente volto e profilo anche i Verdi europei: è nato e si sta affermando un riformismo green che senza rinunciare a valori e orizzonti “rivoluzionari”, adatta sempre meglio il proprio oggetto di rappresentanza ai mutamenti sociali, economici, culturali che negli ultimi dieci o vent’anni hanno riscritto l’alfabeto dell’azione ecologista. Oggi difendere l’ambiente non è più “ridurre il danno”, resistere all’avanzata di uno sviluppo economico inevitabilmente antiecologico; oggi significa convincere che il necessario per scongiurare il collasso climatico è anche l’utile per creare, tanto più nell’Europa attuale alle prese con i rischi di un declino socioeconomico definitivo, un’economia più solida e una società più coesa.

E’ grazie a questo salto di mentalità se in Germania i Verdi sono diventati il secondo partito e governano da anni con successo una delle regioni più ricche e industrializzate d’Europa, il Baden Württemberg, se in Francia, in Olanda, in Belgio, in Inghilterra ottengono percentuali elettorali a due cifre, se a questa nuova generazione di european greens guardano con fiducia milioni di giovani. In Italia questo cambio di passo non c’è stato, i Verdi sono rimasti legati al profilo minoritario e “testimoniale” delle loro origini e per questo sono percepiti fondatamente, anche da molti che a Berlino o a Parigi li voterebbero a occhi chiusi, come l’ultimo dei partiti novecenteschi più che come l’annuncio di una rinnovata politica progressista.

Sono di sinistra i nuovi green che spopolano in mezza Europa? Di sinistra si sente buona parte dei loro gruppi dirigenti, e certamente è di sinistra molta loro weltanschauung dai diritti civili alla voglia di più Europa a una forte idea di equità sociale; ma si rivolgono a un elettorato assai più ampio di quello che si considera sinistra e anche questa è la loro forza.

Dunque concordo con quanto ha dichiarato su queste pagine Monica Frassoni, co-presidente del Partito verde europeo: mettere insieme in Italia Verdi e sinistra più o meno radicale – meglio ri-metterli insieme dopo vari esperimenti analoghi tutti falliti – non aiuterebbe affatto l’onda green europea a scavalcare le Alpi. D’altra parte per costruire anche a casa nostra una rappresentanza credibile e competitiva delle ragioni ambientali non servono rifondazioni o costituenti di ciò che già c’è. Serve davvero e finalmente ripartire da zero.