Vera traduce nel linguaggio dei segni, il marito è stato un giudice famoso, oggi a quanto lei dice regalandogli un pigiama per il suo compleanno, non esce più di casa e neppure si veste. Eppure vuole festeggiarlo lo stesso: organizza la cena, compra la baklava, ha invitato gli amici. È questione di un attimo, il tempo di scendere al negozio di dolci, e quando Vera torna l’uomo è scomparso: lo trova nella vasca, si è suicidato, a coprire la cosa arriva un suo vecchio allievo, adesso anche lui magistrato in carriera molto amico di famiglia. Vera Dreams of the Sea (Orizzonti) è un film sussurrato, a cominciare da come la regista, Katrina Kasniqi, disegna le geometrie della sua protagonista, Vera (Teuta Ajdini), una donna sui sessant’anni, nel confronto con il mondo: una realtà ostile, patriarcale, di corruzione e violenza, il Kosovo di oggi di cui lei annuncia ai cittadini non udenti le notizie alla tv dei continui scandali politici. Ma lei se ne rende conto o è più sorda di loro?

LO SKYLINE della città è affollato di cantieri, anche la loro casa al villaggio che la donna aveva messo in vendita per aiutare la figlia attrice di teatro e con una bambina da sola, ha triplicato il valore in vista dell’imminente costruzione dell’autostrada. Sarà proprio questa la causa di una «guerra» che le farà scoprire quanto quella cronaca quotidiana fa parte della sua vita, riguarda il marito eroe della nazione a cui era sottomessa in ogni cosa ignorandone – o non volendone «sentire» – le scelte. Nonostante fosse una figura celebrata – o forse proprio per questo – si è fatto travolgere (ma anche ha aderito) al sistema dominante che a suo tempo l’ha schiacciata: il padre l’aveva esclusa dall’eredità nonostante fosse la sua unica figlia «naturale» lasciando tutto ai fratelli, figli solo della moglie ma maschi. L’unico «dono» era venuto dalla mamma sorda che appunto le aveva insegnato la lingua dei segni con la quale ha vissuto.

È questa impotenza che la regista mette al centro, una implosione in cui la sua protagonista viene risucchiata verso una inevitabile sconfitta che al tempo stesso però racchiude una sorta di rinascita. «Mia madre Vera aveva trentacinque anni quando divorziò da mio padre. Cresciuta nella Jugoslavia socialista, credeva nel sistema giudiziario. Per garantire la nostra eredità, si batté duramente in tribunale ma ne uscì sconfitta. Fu questa la prima volta in cui, misurandosi con i limiti di una società di cui desiderava far parte, capì che il sistema legale seguiva una dinamica fortemente patrilineare che, avendo storicamente discriminato le donne in merito a questioni come il diritto alla proprietà, le costringeva per tutta la vita alla dipendenza economica dagli uomini» dice Kaltrina Krasniqi, che alla madre ha dedicato il film.

E SE LA SUA VERA sogna il mare per sfuggire alla pressione dei giorni e di quella sua esistenza, la figlia ha iniziato una ribellione, e il futuro della nipotina sarà forse un altro ancora lasciando nell’amarezza di quel presente uno spazio aperto: che riguarda la presa di parola della donna, dentro una dimensione femminile e politica, e una sua diversa consapevolezza su quanto la circonda: non da super eroina che imbraccia il mitra e uccide i cattivi, ma da persona sopraffatta che cerca di usare le possibilità del diritto per opporsi a una rete di tradimenti anche affettivi, di una corruzione che non risparmia nessuno, di un cinismo spietato di cui quel patriarcato si è fatto arma e sistema di controllo.