I ventilatori polmonari che sta fornendo la Protezione Civile arrivano un po’ da tutto il mondo, Cina compresa. Ma c’è chi sta lavorando per costruirli in Italia, a basso costo e secondo un design che può essere replicato ovunque. A raccontarlo al manifesto è Federico Nati, che in tempi normali fa l’astrofisico all’università di Milano Bicocca. In questi giorni di blocco forzato delle ricerche, Nati è uno degli scienziati che si è rimboccato le maniche e collabora al progetto “MVM”, sigla di Mechanical Ventilator Milano. L’obiettivo è realizzare un ventilatore polmonare a basso costo e riproducibile ovunque.

«IL PROGETTO NASCE dalle adesioni individuali raccolte da due astrofisici di primo piano a livello internazionale come Cristiano Galbiati, che si divide tra l’università di Princeton e i laboratori del Gran Sasso, e Arthur Mc Donald, il premio Nobel per la fisica del 2015 per le ricerche sui neutrini», spiega Nati. «L’idea ha poi trovato l’appoggio anche di varie istituzioni scientifiche italiane come le università milanesi (Bicocca, Statale e Politecnico), l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, il Gran Sasso Science Institute e aziende come la Elemaster, che ha sede a Lomagna in Brianza e sarà probabilmente la sede in cui si costruiranno i dispositivi».

Come si fa a mettere insieme così tanti cervelli in poche settimane? «Assomiglia molto alla nascita di un progetto di fisica, in cui persone condividono un obiettivo scientifico – racconta -. L’oggetto di ricerca per noi è nuovo, ma questa modalità di lavoro la conosciamo bene. Ci troviamo spesso a lavorare con centinaia di persone e decine di enti coinvolti in tutto il mondo. Siamo abituati a lavorare così. È un esempio di come le competenze acquisite nella ricerca di base abbiano una ricaduta nella vita di tutti i giorni».

È UN ALTRO SEGNALE dello spirito di collaborazione che sta animando la comunità scientifica da quando il mondo è alle prese con il coronavirus. Molte regole sono saltate, a partire dalle rivalità tra ricercatori fino alla segretezza sulle ricerche per paura dei furti di idee. Negli ultimi anni, le università in tutto l’occidente avevano spinto i ricercatori a brevettare le loro invenzioni e renderle private, anche se le avevano realizzate con fondi pubblici. Ora invece l’imperativo è «condividere», per allargare quanto possibile la diffusione delle idee utili a fermare il virus.

Anche sul ventilatore polmonare non ci sarà alcun brevetto. «Il progetto è open source e questo permetterà di realizzarlo facilmente ovunque vi sia un minimo di competenza e di attrezzature tecniche. Il progetto è già pubblicato online sull’archivio online www.arXiv.org, lo stesso utilizzato dai ricercatori per divulgare i loro studi anche prima della pubblicazione sulle riviste specializzate. La protezione civile sta aiutando con le autorizzazioni. Grazie a loro possiamo muoverci da un comune all’altro nonostante le limitazioni».

Astrofisici come Galbiati, McDonald e lo stesso Nati sono abituati a osservare l’universo, montando e smontando strumenti di laboratorio, facendo errori e riprovando più volte. Nati lo ha raccontato in un libro, L’esperienza del cielo (2019, La nave di Teseo) in cui racconta anche le frustrazioni e i fallimenti che fanno parte del gioco della scienza.

STAVOLTA È DIVERSO, un ventilatore polmonare deve finire in gola a una persona che ha un estremo bisogno di aiuto ed è vietato sbagliare. «Infatti un ventilatore deve essere collaudato e autorizzato. In tutta la fase di progettazione è stato coinvolto il personale medico dell’ospedale S.Gerardo di Monza. Stiamo facendo i test proprio lì, e secondo i medici per ora procedono bene».

Il progetto è low cost e per ora procede senza grandi finanziatori. «Noi mettiamo a disposizione il nostro tempo, le aziende ci hanno messo materiali e ingegneri. Abbiamo avviato un crowdfunding che ad ora ha raccolto poco più di 20 mila euro». Sembra poco: è all’incirca il prezzo pagato dal governo per ogni ventilatore polmonare comprato dalle aziende attraverso la gara Consip. Solo che quelli erano già pronti nei magazzini dei fornitori. Ma 20 mila euro per ora bastano e avanzano. «Tieni presente che un prototipo costa qualche centinaio di euro – spiega Nati -. Bastano una ventina di componenti di facile reperibilità. Si tratta di attrezzature mediche standard controllate da processori Arduino e Raspberry Pi, anch’essi open source, che costano 20 euro l’uno».

QUANDO ARRIVERANNO i ventilatori negli ospedali? «Dobbiamo aspettare di rifinire il design e ottenere le certificazioni, non voglio sbilanciarmi con date precise. Ma pensiamo di poter fornire centinaia o anche migliaia di esemplari in poche settimane».