La vista aperta sul fiume, dalla finestra di una delle case che da lunedì saranno a disposizione di alcune famiglie sfollate per il crollo del ponte, potrebbe sembrare un miglioramento della condizione abitativa di chi viveva all’ombra perenne del gigante di calcestruzzo. Ci vorrà del tempo, però, per tornare alla normalità. Per traslare di una decina di chilometri a nord le abitudini quotidiane e i quadri alle pareti. Per trapiantare i gelsomini fatti arrampicare sui pilastri del Morandi. Perché le «case dei ferrovieri» – come a Genova chiamano quella dozzina di palazzi costruiti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, stretti tra fasci di binari del treno e poi, dal 1967, sovrastati dal viadotto della A10 – erano state un traguardo per chi ci abitava.

Tra i 600 evacuati, immigrati di prima e seconda generazione, soprattutto sudamericani e albanesi. Bambini che hanno appena imparato a scrivere, come Kristel, che ha disegnato il ponte a pennarello e lo ha portato con sé nel centro di accoglienza allestito al centro civico di via Buranello. Genovesi d’adozione come Angela Fiori, 74 anni, nata a Sassari, ricoverata in rianimazione all’ospedale San Martino dopo che un tubo del gas le è esploso in cucina durante il crollo. Fino a ieri questa donna non aveva neppure un nome. Ci sono i figli, ormai pensionati, dei dipendenti delle Ferrovie, a cui le abitazioni erano state assegnate e che poi hanno iniziato ad acquistare. «Ho ancora dieci anni di mutuo da pagare – racconta Maria Grande – spero che non finiremo come quelli dell’Aquila».

No, non dovrebbero temere prefabbricati e new town, stando al piano elaborato da Regione Liguria, Comune di Genova e da Arte, la società regionale territoriale per l’edilizia. Dopo un primo lotto di 45 case nel quartiere San Biagio, in Valpolcevera, una soluzione per consentire alla popolazione sfollata di vivere nello stesso quadrante della città dove già risiedeva e frequentare le stesse scuole, saranno rese agibili altre 100 entro un mese, sempre in zona. E poi ci sarà un ulteriore lotto da 150 abitazioni. Oggi sarà formalizzata la richiesta alla presidenza del Consiglio dei ministri per un finanziamento destinato alle ristrutturazioni.

 

«Ora parte la complessa macchina di assegnazione – spiega il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, mentre “fa fare il giro della casa” nei 70 metri quadri di uno degli appartamenti – prima di tutto, ad avere diritto a una ricollocazione permanente, saranno le famiglie con bambini, disabili e gli anziani». Cassa depositi e prestiti ha messo a disposizione degli sfollati 40 appartamenti. Saranno arredati e ci sarà un affitto di 100 euro al mese da pagare ma a versare il canone saranno Regione e Comune. Si trovano nel quartiere di Quarto, dall’altra parte della città, ma in una zona di pregio, vista mare. Obbiettivo: una casa per tutti entro Natale, la più simbolica delle scadenze. Nessuno degli alloggi che saranno assegnati rientra nell’elenco delle “case popolari” per cui esistono graduatorie con migliaia di persone in attesa.

Intanto al varco di via Fillak, la zona rossa dove i vigili del fuoco stanno accompagnando gli evacuati a recuperare i loro oggetti personali, qualcuno chiede informazioni sui funerali di stato. «Vogliamo esserci, pregare per le vittime e ringraziare per essere ancora vivi», dice Victor Guerra, peruviano, in via Porro da due anni. La cerimonia è stata allestita alla Fiera di Genova, nel padiglione dell’architetto Jean Nouvel. L’enorme spazio in vetro e acciaio che tra qualche mese tornerà a ospitare gli yacht di lusso del Salone nautico si trasformerà in una basilica a tre navate, con 3.800 posti all’interno e 5.000 all’esterno, davanti a un maxischermo. Per il momento ci sono 18 bare, di cui una ancora vuota. Le esequie saranno celebrate dall’arcivescovo Angelo Bagnasco, il cardinale che poco più di 5 anni fa era sull’altare per i funerali dei morti del crollo della Torre Piloti.

A differenza di quell’altra tragedia genovese, però, non tutte le famiglie delle vittime hanno voluto salutare i loro cari con la cerimonia di Stato. La metà, almeno 20 famiglie, ha optato per funerali in forma privata. Alcuni per la delusione nei confronti delle istituzioni, come hanno spiegato i genitori di Matteo Bertonati, Giovanni Battiloro, Gerardo Esposito e Antonio Stanzione, tutti di Torre del Greco. Altri, come i parenti di Andrea Vittone, Claudia Possetti e dei figli Camila e Samuele, di Pinerolo, o la madre della 33enne Elisa Bozzo, di Busalla, hanno scelto l’intimità di un addio vicino a casa. Stella Boccia, toscana, riceverà ad Arezzo funerali con rito evangelico mentre la salma del suo fidanzato è tra quelle ancora a Genova. La defezione dai funerali di Stato, secondo Bagnasco «è una scelta di tutto rispetto, che sicuramente farà riflettere chi di dovere». Interviene anche il vicepremier Di Maio con una lettera pubblicata su Fb: «Non posso biasimare le famiglie che hanno scelto di celebrare i funerali nel proprio comune di appartenenza, anche in dissenso con uno Stato che invece di proteggere i loro figli, ha preferito per anni favorire i poteri forti».

Al termine della liturgia, alla fiera di Genova, ci sarà una breve benedizione islamica chiesta dai familiari delle vittime albanesi.