Fra pochi giorni ricorre l’anniversario del massacro di Sabra e Chatila, quando le milizie falangiste con la complicità dell’esercito israeliano uccisero fra la notte del 16 e del 17 settembre ’82 oltre duemila donne e uomini palestinesi. Tutti civili inermi. Una ricorrenza ancora più amara per le notizie e i fatti che arrivano, non imprevisti, dalla Siria. C’è un filo rosso che lega questi avvenimenti alla storia di quei paesi, alle «primavere arabe» e, soprattutto, alla necessità degli Stati Uniti di riaffermare nell’area una supremazia timidamente insidiata da vari fattori – la Russia che rialza la testa, le mai sopite aspirazioni persiane di egemonia e la Cina, protagonista anche in Medio Oriente.

Le ragioni della democrazia nello scenario siriano c’entrano poco, in gioco c’è il futuro di uno stato riottoso ad accettare la visione statunitense del «grande Medio Oriente» – per questo relegato da anni a «stato canaglia» con una logica affatto nuova (Iraq e Libia). Bashar Al Assad, al di là del giudizio politico e morale, è una vittima predestinate: il suo momento è arrivato con lo sbocciare delle «primavere arabe», precedute dal patto di ferro – mai smentito – siglato al Cairo nel 2009 fra parte dell’amministrazione Obama, con a capo i Clinton, e i Fratelli Musulmani. Con il quale gli Usa volevano assicurarsi il controllo dell’area anche dopo gli stravolgimenti del Medio Oriente; un giro di danza gattopardesco che, sacrificando i vecchi leader, puntava a preservare i modelli economici esistenti.

Ma in Egitto le piazze hanno rimescolato le carte, segnando la sconfitta di chi aveva puntato sull’accordo con i Fratelli Musulmani, barcollanti anche in Tunisia. Serve allora una risposta forte, in grado di far sentire la propria voce ad amici e nemici. Poi c’è la variabile impazzita dei mercenari: è difficile negare e nascondere la presenza sempre più massiccia in tutta la regione di una sorta di «internazionale del terrore e della destabilizzazione» già attiva con successo nei Balcani, poi in Iraq e in Libia. In Siria però questa presenza rischia di mettere in discussione un aspetto cruciale del conflitto: la guerra mediatica di manipolazioni e menzogne. Il «civile» Occidente che non si preoccupa di coprire la criminale occupazione israeliana o le durissime repressioni del governo turco, grida alla democrazia contro la Siria, ma nello stesso tempo va a braccetto con i regimi dispotici delle petrolmonarchie del Golfo. (…)

Possono esserci dubbi sulle responsabilità, ma in questo drammatico scenario è facile stabilire chi sono le vittime. Il popolo siriano è allo stremo, circa due milioni di persone hanno trovato rifugio nei paesi vicini, molti in Libano. E così ancora una volta la storia e i drammi legano queste due nazioni. Tante donne e tanti uomini in fuga hanno trovato sostegno e ospitalità proprio all’interno dei campi palestinesi, vittime questi di altre guerre e ingiustizie. La gente dei campi sta mostrando tutta la propria generosità ma è allo stremo e chiede aiuto. Con questo spirito ci recheremo a Beirut in occasione del massacro di Sabra e Chatila e con questo spirito porteremo lì la voce di un Occidente diverso che non vuole uniformarsi e che dice con forza no alla guerra!