Nicolas Maduro è stato eletto presidente del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv), al suo III congresso fino a giovedì. Oltre alla guida del paese, il capo di stato venezuelano prende così anche quella del partito, fondato nel 2008 da Hugo Chavez e da lui diretto. Un voto «per acclamazione» che verrà formalizzato a fine congresso, il primo dopo la morte di Chavez (il 5 marzo del 2013). Da allora, è cominciato per Maduro un percorso tutto in salita: fin dalla notte del 14, quando è risultato vincitore con uno scarso margine di voti sul suo avversario Henrique Capriles, leader della coalizione Mesa de la unidad democratica (Mud). Capriles ha subito chiamato le destre alla rivolta, accusando Maduro di frode e pretendendo la riconta dei voti. Le violenze post-elettorali hanno tolto la vita a 11 chavisti, e innescato un lungo periodo di crisi.

Gli organismi internazionali e le istituzioni giuridiche venezuelane hanno poi confermato la legalità del voto. E gli elettori hanno ridato un’ampia maggioranza al governo Maduro durante le comunali del dicembre scorso. Rinfrancato dalle urne e dal sostegno di piazza, l’ex autista del metro ha così inaugurato il «governo di strada», chiamando i settori popolari a una costante gestione assembleare, e «la classe media» al dialogo e alla collaborazione. Destre, grandi imprese e correnti golpiste hanno però deciso di portare un affondo, prima di tutto sul terreno economico: deviando dalla filiera dei prezzi controllati tonnellate di prodotti, rivenduti poi ad altissimo costo al mercato nero, come hanno evidenziato i costanti sequestri effettuati dagli ispettori governativi.

E poi, i mesi di proteste violente, scatenate dall’opposizione oltranzista con la campagna «la salida»: ovvero la sua cacciata violenta dal governo. E ancora la rete destabilizzante ordita ai suoi danni, dentro e fuori il paese, i colpi bassi e il discredito tentato a livello internazionale, le denunce per violazione dei diritti umani, sempre finite nel nulla. E infine le critiche interne, arrivate anche da una voce qualificata come l’ex ministro di Pianificazione, Jorge Giordani: che lo ha accusato di non essere all’altezza del ruolo e di scivolare verso il moderatismo ascoltando le sirene di una certa finanza europea.

«Sono un uomo del popolo, non posso tradirne i principi», ha però ribattuto Maduro, da una parte invitando al dialogo, dall’altra tuonando contro «i dogmatici». E oggi riconferma la sua leadership, forte di alcuni successi e accordi conseguiti a livello internazionale: in primo luogo con la Russia e con la Cina, come è emerso durante il vertice dei Brics in Brasile. Oggi inizia a Caracas il summit del Mercosur, che discuterà la proposta di accordo commerciale con l’Unione europea. I presidenti socialisti dell’organismo regionale hanno presenziato al congresso: i più applauditi, insieme alla delegazione palestinese e a quella russa.

Al teatro Teresa Carreño, dove si riunisce il Psuv, è arrivato anche il console Hugo Carvajal, personaggio storico del chavismo, detenuto per qualche giorno sull’isola di Aruba (olandese) per via di un mandato di cattura emesso dagli Usa per narcotraffico e sostegno alla guerriglia marxista colombiana delle Farc. Maduro si era appellato alla convenzione di Vienna e aveva denunciato l’ambivalenza degli Stati uniti (primo acquirente del petrolio venezuelano) presso cui Caracas ha recentemente inviato nuovamente un incaricato d’affari.
«Da qui al 2019 l’agenda principale della Rivoluzione bolivariana sarà quella economica – ha detto Maduro al congresso – annunciando una Conferenza nazionale straordinaria per discutere, con invitati speciali a livello nazionale e internazionale, «il progetto economico-sociale della rivoluzione». Ha promesso di approfondire i programmi sociali, il «potere popolare costituente», le comuni e la formazione dei militanti. Una plenaria del congresso è stata dedicata a Chavez, nei sessant’anni della sua nascita, ricordata ieri anche dalle sinistre alternative di vari paesi europei.

In Italia, la neonata Rete di solidarietà con la rivoluzione socialista bolivariana – che riunisce movimenti, migranti, giornalisti, pezzi di sinistra e singolarità, ha ricordato Chavez con murales e comunicati: con lui – scrive la Rete – il Venezuela dei diritti e della giustizia sociale, rivolta « a quelli a cui le classi dominanti riservano solo fatica e dolore» è diventato «una preziosa e concreta indicazione di rotta» anche «per queste nostre sponde, che attirano e inghiottono, mettendo gli ultimi contro i penultimi, secondo gli schemi del grande capitale internazionale».